La relazione di Federico Antonelli alla riunione del coordinamento nazionale della sinistra sindacale in FILCAMS-CGIL

Care Compagne e cari Compagni,

lo scorso 9 ottobre i fascisti hanno assaltato e distrutto la nostra sede nazionale di Corso Italia. E’ stata una delle esperienze più drammatiche della mia militanza nella CGIL. Sono accorso la sera per dare una mano, testimoniare la presenza, svolgere il ruolo e difendere, pur in modo tardivo, la nostra casa. Ricordo quando verso la mezzanotte la polizia ci ha permesso di entrare all’interno del nostro palazzo. Tutto distrutto, i vetri per terra. I libri strappati e gettati ovunque. Disprezzo, violenza, aggressività assoluta vuota e cieca ha mosso un gesto che nessuno prevedeva sarebbe potuto accadere. In questo scenario orrendo la scena più commovente: verso l’una di notte ci siamo messi a raccogliere le cose, a sistemarle, a scopare i vetri per terra e ripulire le stanze. Era come dire: questa è casa mia e io oggi la rimetto in ordine perché domani voglio tornare a viverla, a lavorarci, a renderla luogo di accoglienza e discussione per tutta la classe operaia, per i lavoratori, tutti.

Quella sera è stato aggredito tutto il movimento operaio; bene ha fatto Landini a ricordarlo e molto bene ha interpretato i sentimenti della nostra organizzazione la domenica mattina seguente.

Quello che è successo ci deve far riflettere a lungo. Perché ancora oggi l’avversario è stato identificato nel sindacato. La connivenza della polizia e della questura nell’indirizzare i violenti verso la nostra sede spiega la facilità del gesto, non perché sia avvenuto. Perché non è un gesto criminale, come qualcuno ha tentato di dire. E’ un gesto politico che ha identificato in noi il responsabile del disagio che molti vivono. E se i fascisti hanno strumentalizzato tutto, molti si son fatti strumentalizzare. Non neghiamoci che quel giorno, in piazza del popolo, e poi anche di fronte alla nostra sede durante l’assalto c’erano molte persone normali, lavoratrici e lavoratori che hanno fatto la scelta di protestare contro un provvedimento che non condividono e che identificano, in modo confuso, il loro avversario. Non hanno attaccato la Confindustria che rappresenta gli interessi del padronato, ma la CGIL. Quella che più di tutti ha espresso un parere critico, non contrario ma critico, verso il green pass. Quella che ha criticato l’idea che ha associato a uno strumento parziale, frutto di una mediazione politica debole, il diritto al lavoro. Quella che più di ogni altro soggetto politico o sindacale ha lavorato attivamente per avere strumenti di tutela reale per tutti i lavoratori di fronte alla pandemia. Anche per quelli che in quel sabato hanno manifestato in Piazza del Popolo.

Allora la riflessione si fa ampia e molto è stato ben interpretato da Giacinto Botti nella lettera aperta che ha diffuso nelle scorse ore, compreso il ruolo autocratico del governo Draghi che procede senza tentennamenti anche a fronte del disagio sociale che stiamo vivendo. {la lettera di Giacinto è stata pubblica su “sinistra sindacale” https://www.sinistrasindacale.it/index.php/periodico-sinistra-sindacale/numero-19-2021] Penso che proprio la capacità della CGIL di dare voce a una idea alternativa a quella maggioritaria, coerente e articolata nel suo sviluppo, sia il pericolo per gli estremisti no vax, per i fascisti che li organizzano. Perché l’idea esasperata di libertà individuale, che nega l’idea collettiva di libertà e di tutela della salute, non vuole prigionieri e attacca chi il concetto di libertà, come diritto individuale esercitato in maniera collettiva a tutela dei diritti di ognuno, pratica e tutela.

Purtroppo, all’attacco alla sede nazionale hanno fatto seguito altri attacchi a sedi di altre città, più o meno grandi. La grande manifestazione del giorno 16 ha dimostrato che l’antifascismo è un sentimento profondo, attuale e vivo. Io credo che un obiettivo di quella piazza debba essere anche riavviare un dialogo tra lavoratori, perché senza unità il pericolo del fascismo resterà vivo: un fascismo che userà mezzi violenti senza attribuirgli identità politica e che si presenta quotidianamente con i visi della Meloni e di Salvini che vogliono tutto ridurre a semplice criminalità. Chissà se tutti quegli opinionisti o politici che continuamente affermano che il fascismo non esiste e che l’antifascismo è una idea morta e non attuale avranno visto la nostra sede distrutta e la grande piazza del giorno 16. Io mi chiedo se siano ancora convinti della loro idea.

Viva la CGIL, viva il sindacato confederale.

Ci ritroviamo dopo la pausa estiva a qualche giorno dall’avvio della Assemblea di Organizzazione, che è iniziata con la convocazione delle assemblee generali di categoria provinciali e adesso, dopo le camere del lavoro, vede le categorie regionali, in attesa dei successivi passi e del completamento del percorso nella seconda metà di dicembre con l’assemblea di organizzazione nazionale. Questi sono stati però mesi di incredibile complessità e difficoltà a tutti i livelli. Sul piano internazionale il ritiro degli americani dall’Afghanistan è stato certamente l’evento di più grande rilievo. Un fatto che oltre a scatenare una ipocrita retorica sui diritti umani (giusta nelle argomentazioni, purtroppo strumentale nei tempi e nei modi se pensiamo a come hanno agito gli americani nel mondo e come hanno gestito il loro potere e capacità di influenza nei paesi a lei asserviti) apre una riflessione generale sul paese nordamericano. Qual è la forza attuale degli USA, e come declineranno il proprio impegno politico internazionale nel conflitto economico e militare con la Cina, vero rivale che pone in pericolo la loro supremazia mondiale. L’Afghanistan continuerà a essere un polo strategico centrale nella ridefinizione degli assetti strategici delle grandi potenze: il fatto che la Russia di Putin e la Cina stessa offrano spazio di dialogo al regime dei talebani simboleggia in maniera plastica il posizionamento di questi due colossi. L’Europa nel mezzo ha balbettato il suo appoggio agli USA senza la capacità di giocare un ruolo attivo nella crisi mondiale. Europa che è in osservazione del futuro del suo paese più rilevante e ricco, la Germania.

Dopo molti anni è uscita di scena Angela Merkel, i cui governi a guida cristianodemocratica saranno sostituiti da un governo a guida socialdemocratica che coinvolgerà Liberali e Verdi in una coalizione di cui si sta discutendo in questi giorni e queste ore. Non credo che il nuovo governo porrà una politica alternativa ai precedenti di Angela Merkel e non credo che per le politiche europee potrà cambiare qualcosa. Ma è evidente che un cambio come quello tedesco non può essere derubricato a fatto fisiologico. Un ulteriore fatto accaduto a livello internazionale in questi mesi riguarda l’idea polacca di costruzione di un muro di difesa anti immigrazione. La risposta europea è stata forse peggiore della domanda: fatelo ma non con i nostri soldi. Questa l’Europa del Manifesto di Ventotene? No! La solidarietà umana deve comandare i provvedimenti degli stati e se oggi si è aperto uno scontro tra Europa e Polonia è sull’assetto normativo e il rispetto del principio di prevalenza della normativa europea su quella nazionale. Discussione complessa che investe temi sui quali sappiamo bene si possono giocare anche drammatiche contraddizioni, sia di natura giuridica che politica, e che abbraccia, tra gli altri, il tema del rispetto dei diritti umani e sociali, come i comportamenti dei governi di Varsavia e Ungherese di Orban hanno mostrato in questi mesi. Vorrei anche parlare del dibattito in America sulla normativa sull’aborto e il grande conflitto politico e istituzionale che lo sta animando. Il mondo guarda spesso agli Stati Uniti e al suo modo di declinare i diritti civili: la scelta del Texas di annullare i diritti delle donne preoccupa, perché non è voce isolata nel mondo (in Italia il deputato Pillon rappresenta una voce purtroppo alta nel dibattito sui diritti civili e sul modello di società che si vorrebbe ricostruire) e perché da lì possono partire dinamiche politiche devastanti.

A questi fatti di rilevanza centrale voglio aggiungere una riflessione che se da un lato parte da una esperienza personale, dall’altro mi permette di agganciarmi alla realtà italiana. Ho passato il week end della scorsa settimana a Londra e sono rimasto impressionato. Prima di partire ero naturalmente informato sugli andamenti dei contagi nel paese, ma osservare da vicino come gli inglesi stanno affrontando questo momento lascia stupefatti. Praticamente e come se non ci fosse mai stato il Covid, le persone girano senza mascherine anche in luoghi chiusi e affollati e nei bar e ristoranti camerieri e cuochi agiscono senza la minima limitazione igienica. Confesso che al momento di fare il tampone per tornare in Italia ho passato una mezzora di paura: non escludevo affatto di poter essere stato infettato pur avendo io rispettate le regole che noi utilizziamo normalmente. In questo penso che il nostro paese abbia dato buona prova di sé e anche se ancora non abbiamo risolto i nostri problemi, credo che si possa dire che le politiche di contenimento della diffusione del virus, al di là dei primi drammatici e colpevoli errori, possano essere giudicate bene. Certo molto è stato fatto grazie all’impegno e al sacrificio di medici, infermieri, addetti ai servizi negli ospedali, quelle donne e quegli uomini che noi rappresentiamo e che sono state in prima linea nei mesi in cui l’organizzazione sanitaria era nel caos. Oggi la campagna vaccinale ha raggiunto un numero molto alto di persone completamente vaccinate, e la maturità collettiva di continuare a condurre comportamenti virtuosi è un dato rilevante. In tutto questo si inseriscono però alcuni elementi temibili: la percentuale di persone tra i 30 e i 50 anni ancora non vaccinate è troppo alta e la gestione del green pass lascia ancora molto perplessi.

In Italia abbiamo poi avuto il voto amministrativo. Roma, Milano, Torino, Napoli le città principali coinvolte nella tornata elettorale. Elezioni che hanno visto due vincitori: il centrosinistra che si è aggiudicata quasi tutti i sindaci, sicuramente tutti nelle città principali, e gli assenti al voto che rappresentano il 56% dell’elettorato. E’ un dato clamoroso che fa il paio con tutte le considerazioni che abbiamo fatto in apertura della nostra riunione sulle piazze e sul disagio sociale che in esse si è manifestato. Una distanza con la politica oggi divenuta drammatica: la manifestazione della sfiducia non solo nelle istituzioni, ma nella possibilità di cambiarle. La distanza da un sistema democratico di cui il voto è momento di partecipazione assoluto e fondamentale. Se le persone vivono la rabbia, la frustrazione e la preoccupazione del futuro senza trovare momenti e luoghi in cui incanalare le proprie necessità, l’esplosione sociale è dietro l’angolo. E in questo quadro il risultato dei partiti di sinistra è ancora più negativo. Diciamolo con franchezza, oggi la sinistra, intesa come forza organizzata di rappresentanza politica è diventata marginale nel dibattito sociale. E se manca la forza politica organizzata, le parole d’ordine della sinistra spariranno completamente dal linguaggio sociale, e l’egemonia delle forze liberali e liberiste sarà contrastata soltanto dai fascisti che con meccanismo facilmente riconoscibile, ma drammaticamente efficace, sapranno accattivare le persone identificando l’avversario e le soluzioni (errate ma facili da declinare) con banale semplicità.

Il governo guidato da Draghi sta intervenendo con una serie di possibili riforme che lasceranno il segno sui prossimi anni. Alla timidissima proposta di Orlando di una legge a tutela del lavoro dai pericoli delle delocalizzazioni si è stati capaci di rispondere in poche ore che non è il caso; appena qualcuno parla, quasi sottovoce, di una patrimoniale, destinata a redditi altissimi e patrimoni fuori misura, viene tacciato come un folle capace solo di aumentare il carico fiscale; ma se si decide di non prorogare l’intervento sulle pensioni di quota 100, si dice che è giusto e che bisogna pensare ai giovani. Proseguendo nel gioco della divisione generazionale, della concorrenza fra lavoratori dando la percezione che la torta è quella è che non si può aumentare in nessuna maniera, e il contenimento della spesa per il welfare e la sola strada per disegnare il futuro delle classi lavoratrici. Da qua si declinano le indicazioni della commissione europea e una politica di bilancio prudente si coniuga con risorse insufficienti per gli ammortizzatori sociali, oltre che con la rimessa a regime del sistema pensionistico. Il documento programmatico di bilancio scritto in questi giorni, associato al decreto fiscale mette in evidenza questa tendenza. Ricordiamo che nel decreto fiscale è stata prolungata anche per i nostri settori la cassa covid ma senza che sia definito il blocco dei licenziamenti. L’intervento pensionistico prevede il ritorno alla legge Fornero con un possibile periodo cuscinetto di due anni in cui a quota 100 si sostituisca quota 102 il primo anno e quota 104 nel secondo anno: decisione beffarda sia perché i requisiti per andare in pensione si allungano nuovamente sia perché il periodo cuscinetto salvaguarderà pochissimi lavoratori. Sugli ammortizzatori sociali non è chiara la direzione che si vuole assumere. E un governo che fin dall’inizio si era caratterizzato per il suo ruolo di normalizzatore dimostra nei fatti gli obiettivi della normalizzazione. Il tentativo di Bonomi, del governo e forse la tentazione di CISL e UIL di adeguarsi, di proporre un nuovo patto sociale è oggi più che mai inopportuno e anzi una nuova stagione di discussione e di conflitto deve essere avviata.

E’ quindi necessario avviare la campagna per arrivare allo sciopero generale, che oggi non può essere rimandato. La dimensione autoritaria del governo Draghi, il suo “tirare avanti” sulle decisioni assunte non è accettabile. Decisioni che non rispondono all’interesse di classe che rappresentiamo. Sciopero generale che è necessario per riavviare una stagione di conflitto non più rinviabile. Un conflitto che non si è più capaci di praticare nelle forme democratiche a noi conosciute e che ancora rappresentano il vero cuore dell’iniziativa sindacale. E’ necessario spingere sulla nostra organizzazione e farla uscire dalla percezione di immobilismo che a volte sembra attanagliarla, anche a fronte dell’atteggiamento di CISL e UIL refrattarie a rappresentare il disagio crescente.

Oggi la grande piazza di Roma del 16 ottobre dimostra che il nostro radicamento culturale è vivo e se forse non si vivono le condizioni di movimento di massa di alcune generazioni precedenti, si può ancora far vivere la protesta, intercettare il disagio, incanalare i bisogni in una vertenzialità diffusa e coordinata che però parta da una forte spinta confederale senza la quale nulla si potrà modificare. Le categorie oggi vivono la condizione peggiore: siamo deboli sul piano contrattuale perché le condizioni generali producono debolezza. Ma le iniziative di categoria non riescono ad avere lo slancio necessario per poter modificare tale situazione. Perché solo una visione generale può modificare la realtà. Ma se pensiamo ad alcune vertenze capiamo come il protagonismo dei delegati esiste ancora e deve essere promosso.

La nostra organizzazione è capace di una elaborazione chiara e riconoscibile, è necessario spendere questa elaborazione con rinnovato sforzo collettivo. Così come è necessario che la FILCAMS divenga protagonista di questa vertenzialità diffusa. Le politiche degli appalti, la contrattazione nazionale, il mondo dei servizi e la crisi attuale del turismo sono componenti centrali della vita economica e sindacale del paese. Portiamola all’evidenza e rendiamo politica una capacità di presenza esemplare ma che fa fatica a evolversi in elaborazione.
In questi mesi la FILCAMS è stata protagonista di alcuni rinnovi contrattuali complessi che si attendevano da anni. Il più significativo quello dei multiservzi. Poi le farmacie private. Entrambi i contratti, dopo molti anni di mancati rinnovi, non sono riusciti a ottenere la copertura del pregresso con l’una tantum. E’ questo un elemento di debolezza che rischia di condizionare tutte le prossime stagioni contrattuali. Il turismo è attualmente fermo e gli aumenti retributivi rimodulati nella loro tempistica di erogazione sulla base della pesante crisi che il settore ha subito con la pandemia. La vigilanza privata, anche lei scaduta oramai 6 anni fa, nel 2015, prosegue il confronto faticosamente. La fine del blocco dei licenziamenti si presenta come uno spettro a cui tutti guardiamo preoccupati (per questo la grave insufficienza dell’intervento sulle 13 settimane di cassa aggiuntive).

Il settore del commercio sta assistendo alla sua riorganizzazione: smart working e commercio on line modificheranno in futuro l’attività lavorativa negli uffici e la dimensione delle reti commerciali (Disney ha chiuso per trasferire sull’on line tutta la sua attività commerciale, la rete di abbigliamento Gap ha fatto la stessa scelta e in Italia contava ben 81 negozi). Intanto è ripartita anche la discussione sul rinnovo del contratto nazionale del terziario che dovrà affrontare anche questi temi. Insomma, la nostra non è solo categoria di frontiera ma è categoria che può orientare molte delle dinamiche contrattuali di tutti i settori. Dobbiamo far emergere questa centralità. La conferenza di organizzazione in questo può rappresentare una occasione unica. A ogni livello abbiamo il dovere di sollecitare il protagonismo della nostra categoria.

Entrando nel merito delle prossime scadenze delle assemblee generali e del percorso della assemblea di organizzazione non parlo del documento di contributo che abbiamo proposto al corpo dell’organizzazione, e che so molti di voi utilizzano come schema di discussione, ma ritengo utile richiamare tutti noi a dare voce al rilancio dell’iniziativa sindacale, della necessità di arrivare allo sciopero generale e a una manifestazione che dia seguito a quella del 16 ottobre declinando questa volta la politica sindacale ed economica e contestando le scelte di un governo che si dimostra avversario di classe. Dobbiamo fare nostro il disagio sociale per offrire una prospettiva democratica, unificatrice della classe lavoratrice e degli interessi che le sono propri. Questo dovrà essere il nostro ruolo nei prossimi appuntamenti delle assemblee generali, delle riunioni di segreteria, di apparato, nei coordinamenti aziendali e di settore. Ovunque ci sia uno spazio di discussione.

Ripenso a due colloqui avuti con dei compagni in giorni differenti. Nel corso di uno di questi mi è stato detto: io credo che il nostro sia uno spazio di discussione che mi piace, mi permette di esprimermi e ci tengo a mantenerlo. Nel corso dell’altro colloquio ad alcune osservazioni critiche alle scelte dell’organizzazione mi è stato detto: lo abbiamo dette a chi di dovere. Sono due facce della stessa medaglia: noi dobbiamo portare la nostra voce all’esterno, renderla viva nell’organizzazione. Perché qualcosa detto fra di noi produce elaborazione politica collettiva che avrà vita e potrà influire sulla vita della nostra organizzazione solo se sarà esplicitata anche nelle istanze dell’organizzazione. Perché se pensiamo che dire le cose “a chi di dovere” sia sufficiente, costruiamo una idea burocratica dell’organizzazione che non può appartenerci: noi siamo una componente della maggioranza e la nostra scelta fu fatta perché decidemmo che tra noi e la linea decisa dal congresso c’era assonanza e perché confluendo all’interno della maggioranza avremmo potuto influire sul dibattito in maniera proattiva e assertiva. Questo è il nostro ruolo e questa e la modalità che vi chiedo a noi tutti di praticare nella nostra CGIL.