Il 21 novembre scorso, con una sentenza attesa da anni dal sindacato, la Corte Costituzionale ha sancito l’illegittimità dell’articolo 177 del codice degli appalti. L’articolo, che imponeva l’esternalizzazione obbligatoria dell’80% dei servizi gestiti in regime di concessione e il restante 20% da organizzare in formula In house, è stato riconosciuto dalla consulta come incostituzionale.
Una vittoria di diritto e di diritti che può costituire, se ben sfruttata, una ghiotta opportunità per una nuova fase di rivendicazioni per tutte quelle lavoratrici e lavoratori che da troppo tempo sono merce di scambio di concessioni pubbliche, figlie della controversa logica del profitto, che esternalizzano la quasi totalità dei servizi essenziali ad aziende private.
Occorre quindi approfittare della breccia aperta senza però dimenticare un fattore fondamentale: la consulta non ha bocciato l’articolo 177 con motivazioni legate alla tutela dei diritti dei lavoratori o alla salvaguardia occupazionale in genere, bensì in ragione della necessità di preservare la libertà d’impresa e la concorrenza, con la garanzia di un interventismo del legislatore che, se proprio necessario, sia però bilanciato. Nessuna menzione riguardante la condizione lavorativa del personale impiegato nei contesti destinatari dell’articolo.
Questa considerazione deve quindi ricordarci che le battaglie che ci attendono saranno anche “ideologiche”, e per questo forse più impegnative, per riportare al centro della politica, della legislazione e quindi della giurisprudenza, la dignità e i diritti dei lavoratori, sopra qualsivoglia logica di mercato.
E questa centralità non la si potrà riconquistare se nel nostro percorso di lotta non porteremo con noi la ferma convinzione che il profitto e il mercato dovrebbero essere sempre estromessi dagli ambiti pubblici, come quelli della sanità, della cultura, dei trasporti o dei servizi in genere.
Settori in cui sono impiegati centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori, accomunati da esternalizzazioni selvagge e spesso poco limpide, da una costellazione di contratti applicati a volte poco pertinenti, sempre inadeguati, soprattutto a livello salariale; spazi di primario interesse pubblico dati in pasto a competitors privati con l’obiettivo principale di massimizzare il profitto (e, a parole, il rendimento) e minimizzare il costo (del lavoro).
Quindi è proprio da questa sentenza che il nostro sindacato, in maniera confederale, deve ripartire, conscio che la sfida è grande e trascende i confini nazionali. Consapevole però che la pandemia, con la sanità pubblica al collasso, ci ha sbattuto in faccia una verità che da troppo tempo anche noi abbiamo rischiato di scordare: c’è bisogno di più Stato!
Occorre una netta inversione di tendenza sulle esternalizzazioni, che non possono più essere strutturali e che non possono più seguire una logica di ribasso e risparmio (che quasi sempre non c’è nei fatti).
È arrivato il momento di mettere urgentemente in pratica le idee che hanno dato forza al nostro congresso, come la contrattazione inclusiva: sono le lavoratrici e i lavoratori a chiederlo, vessati da precarietà permanente e salari indecenti, e di rimando anche l›intera collettività che subisce l›inevitabile inadeguatezza e discontinuità dei servizi appaltati, a causa di una gestione mista e un›organizzazione controversa nonché di condizioni economiche non sostenibili.
Il sindacato deve farsi promotore di una mappatura attraverso cabine di regie territoriali con la creazione di coordinamenti di settore e il coinvolgimento attivo di tutte le categorie, Funzione Pubblica in primis. Mappatura che possa permettere di individuare i casi laddove l’esternalizzazione raggiunge livelli di contraddizione insostenibili, portando a sprechi di risorse pubbliche e sfruttamento del lavoro, senza effettivi benefici per la comunità.
Occorre inoltre fare della contrattazione d’anticipo una consuetudine diffusa e tempestiva; non possiamo più limitarci, in prossimità di una scadenza di un appalto, a salvare il salvabile e mettere qualche pezza, quando va bene, alla gestione precedente.
Serve infine uno sforzo in più, che tutte queste azioni cioè riacquisiscano un carattere rivendicativo e non solo di barricata, con l’obiettivo, tra gli altri, di pretendere un diritto che ci sembra scontato: stesso lavoro, stesso salario.