Si discute in questi giorni al Senato, il nuovo DDL appalti, che dovrebbe riscrivere le regole del settore in un’ottica di efficienza e regolarità. Due parole che a questo mondo si adattano a fatica. Un sistema macchinoso, a forte infiltrazione mafiosa e che ha come unici obbiettivi l’abbattimento di costi per pubblica amministrazione (e spesso ciò non accade, anzi a volte il risparmio sarebbe tenersi in casa il lavoro) ed il facile guadagno per il marasma di aziende più o meno sane che partecipano al banchetto.
Servono sicuramente regole chiare, ma bisogna fare attenzione a non scriverle pensando che gli appalti siano tutti uguali e che il gioco al ribasso si possa fare solo sui materiali, perché, negli appalti di servizi, il gioco al ribasso viene fatto sulla pelle dei lavoratori.
Quando parliamo di appalti di servizi parliamo di più di un milione di persone, di cui la componente umana è quasi la totalità del servizio. Pensiamo alle pulizie, alle mense, al portierato, servizi in cui la manodopera è l’oggetto principale, settori già flagellati dalla piaga del part-time involontario e del lavoro povero, temi strettamente correlati tra loro.
Questo nuovo DDL ha dato alcuni segnali positivi, come le indicazioni chiare all’applicazione dei CCNL più rappresentativi o l’importante norma sul subappalto che in determinate condizioni obbliga l’azienda in appalto alle tutele economiche e normative dell’appaltatrice, ed infine anche l’esclusione dei costi di manodopera e della sicurezza dai ribassi in gara. Segnali che cogliamo, come categoria, positivamente perché appunto cercano di limitare la terrificante gara al ribasso a cui assistiamo da sempre negli appalti pubblici.
Non possiamo però passare oltre alla norma che non prevede più l’obbligo di clausola sociale per gli appalti pubblici, trasformandola in una indicazione volontaria. Un enorme passo indietro, che causerà, con approssimata certezza, una forte instabilità nel settore.
Ma perché si agisce sulla clausola sociale? Cosa nasconde, o rivela, questa scelta? A voler pensare male, eliminare la tutela di mantenimento del posto di lavoro per i lavoratori in appalto, si sposa bene con il concetto di efficienza e modernità che ha in mente il legislatore. Perché l’azienda che subentra dovrebbe assumere tutto il personale di quella uscente, quando così ha invece la possibilità di eliminare i “pesi morti” e sostituirli con magari nuove assunzioni più efficienti? Appare chiaro che dietro all’abolizione di questa norma c’è la volontà di rendere moderno il settore non attraverso il miglioramento delle condizioni di lavoro, la stabilità del lavoro, la formazione permanente, ma attraverso l’espulsione dei lavoratori più fragili, quelli con problemi fisici per primi, quelli poco produttivi, quelli con scatti di anzianità, quelli che parlano male l’italiano.
Perciò oltre alla norma in sé che produrrà problemi a catena sugli appalti, ciò che va combattuto è soprattutto il principio che l’ha ispirata e cioè, che a fronte di un grande esercito di riserva, il lavoro moderno espelle i suoi elementi più fragili, da un settore in cui già si è poveri pur lavorando, un settore dove, a determinate condizioni, si guadagna davvero di più a restare a casa con il reddito di cittadinanza.
Rimane quindi un giudizio molto negativo, su questa norma e la filosofia che la ispira: cioè il darwinismo sociale che innesca la guerra tra poveri. Le lavoratrici e i lavoratori del settore, spesso donne sole, immigrate o uomini anziani espulsi da altri contesti lavorativi, sono costrette/i a combattere una guerra, per accaparrarsi un posticino al sole, o evitare l’espulsione dal mondo del lavoro, che sarà sempre perdente. Al contrario ciò che serve a queste lavoratrici e questi lavoratori è altro; in una logica di salvaguardia della qualità del lavoro, e di conseguenza dei servizi, servono formazione, investimenti, gare sostenibili economicamente. La qualità deve essere cercata e coltivata e non oggetto di ribasso e le persone che vi lavorano devono essere considerati una risorsa da rispettare, e non un peso su cui risparmiare.
Per questo motivo la nostra categoria ha avviato una forte campagna: è necessario mobilitarsi, chiedere con forza la reintroduzione della clausola sociale ma non fermarsi a questo e pretendere investimenti aprendo un forte fronte sindacale che affronti con decisione i problemi del lavoro povero e del part-time involontario, che sono le vere piaghe da estirpare del sistema dei servizi.