Claudio Martini sulla guerra: “Difficile un negoziato seguendo la logica delle armi” - di Frida Nacinovich

Claudio Martini non ha bisogno di presentazioni: presidente della regione Toscana per dieci anni, vicino alle posizioni dell’altermondialismo, ha firmato con i suoi colleghi emeriti Enrico Rossi e Vannino Chiti, con Rosi Bindi e tanti altri ancora, un appello contro il riarmo.

Martini, c’è un paese con l’elmetto e questo non sarebbe certo piaciuto a due toscani profetici come Giorgio La Pira ed Ernesto Balducci… Vent’anni fa il social forum europeo a Firenze, un’oceanica manifestazione per chiedere un altro mondo possibile… in fondo non è passato troppo tempo, e l’Europa invece di seguire la via dei negoziati, invia armi e si riarma. È stato tutto inutile?
Tutto inutile non è mai, anche perché si sono comunque gettati dei semi di una coscienza pacifista, ambientalista. Se non ci fossero nemmeno questi è chiaro che ci sarebbe un’ondata interventista ancora maggiore. Certo è singolare vedere come a distanza di venti anni ci ritroviamo più o meno nella stessa situazione. Il social forum parlò di pace perché si stava per scatenare la guerra in Iraq. Si discusse anche di ambiente, e oggi questi temi sono più che mai attuali. Si parlò di migrazioni, una questione diventata cruciale. Sono i cicli della storia, comunque dovremmo gestire con più consapevolezza queste crisi. Non voglio tirare sempre la croce addosso all’Europa, anche perché sta diventando uno sport nazionale. Non è che i singoli paesi abbiano fatto molto, sicuramente la guerra evidenzia più che mai il bisogno che l’Europa cresca come soggetto e abbia la capacità di svolgere un ruolo politico nello scacchiere internazionale.

Tra i firmatari dell’appello tanti esponenti del Pd, ben consci che gli elettori dem sono in maggioranza quantomeno scettici sulla linea portata avanti da Enrico Letta. Come la vedi?
Io vorrei separare la questione dell’appello da quella del Pd. Altrimenti alla fine tutto viene piegato in una logica interna al dibattito nel partito. A noi firmatari dell’appello questo aspetto non interessa. L’appello è rivolto erga omnes, verso tutte le forze politiche e tutte le coscienze, altrimenti si riduce a un dibattito fra correnti. Questo significa immiserire la questione. Noi abbiamo posto un tema generale. Primo: difendere, sostenere, essere solidali all’Ucraina è una necessità, un obbligo morale e politico. Su questo nessun dubbio. Come nessun dubbio sulla condanna dell’aggressione di Putin. Nessuna equidistanza. Non esiste la possibilità che l’aggressore possa essere messo sullo stesso piano dell’aggredito. Sarebbe paradossale. Premesso questo, noi diciamo che non è giusto e non è etico trarre come conseguenza il fatto che tutti i paesi debbano aumentare le spese militari, portarle a livelli sempre più alti rispetto al Pil. Perché la questione Ucraina non si risolve soltanto sul piano strettamente militare. Bisogna che l’Europa faccia uno sforzo per costruire una difesa europea. Se si costruisse si risparmierebbero soldi, non avremmo bisogno di spenderne altri. Io non ho la posizione di quelli che dicono: “gli ucraini si arrangino”. Non è la mia posizione, e non è la posizione di chi ha firmato l’appello. Noi sosteniamo che l’Ucraina vada aiutata, anche sul piano militare, con tutto quello che è lecito fare senza produrre però un’escalation. È necessario che la difesa europea si costituisca, che nasca una nuova iniziativa diplomatica che deve essere messa in campo subito.

Gli effetti del conflitto russo ucraino si stanno facendo sentire pesantemente anche sulla ripresa economica dopo due anni di Covid, forse è anche per questo che l’uomo della strada non si capacita della piega presa dagli avvenimenti. C’è qualche possibilità che il vostro appello possa smuovere ulteriormente le coscienze?
C’è grande preoccupazione. Le nostre società, le nostre economie escono fiaccate dal biennio del Covid. E non è nemmeno detto che la pandemia finisca rapidamente. Forse siamo fuori dall’emergenza, ma il Covid non è alle nostre spalle. Tornando al conflitto, il tema è come favorire una nuova apertura negoziale. Chi fa il primo passo? Credo che la mossa spetti alle grandi potenze mondiali. Sono preoccupato dal fatto che adesso si pensi più a riarmarsi che a trovare spazi negoziali. Però a essere obbiettivi, non vedo passi avanti. La Russia offre degli spazi negoziali? Gli Stati Uniti puntano più sul negoziato o sul fronteggiare con il riarmo e con la Nato l’aggressione della Russia? Siamo in un circolo vizioso. La Cina sta dando mano o sta aspettando che gli altri si sbuccino, detto in toscano? Chi ha cominciato la guerra lo sappiamo, è la Russia di Putin. Ma chi può farla finire? Visto che chi sta pagando il prezzo più grosso è l’Europa, penso che debba essere proprio l’Europa ad alzare ulteriormente la voce. Sia nei confronti dei russi, che degli alleati americani. Da uomo della strada faccio però fatica a vedere una via d’uscita. I russi vogliono il Donbass e la Crimea e noi non possiamo accettarlo pur di far cessare la guerra. Siamo in un bel guaio. Occorre sedersi intorno a un tavolo e discutere, ho firmato l’appello proprio in questo senso. Noi pacifisti, e mi ci metto anche io perché me ne sento parte, abbiamo davanti una strada molto stretta. Dobbiamo insistere sul negoziato, e è evidente che per aprire uno spiraglio aumentare al 2% e oltre le spese militari dei più grandi paesi dell’Unione europea, non è la via più coerente e intelligente.

Anche l’informazione ha messo l’elmetto, l’Anpi è finita in croce solo perché sosteneva le vostre posizioni. Dica la verità, non le fa un po’ effetto?
Il confine è sottile e delicato. Non mi sento di dare lezioni a nessuno, tantomeno all’Anpi. Credo che però non si debba fare nemmeno l’inverso. Siamo a un punto difficile. Bisogna trovare un equilibrio aiutando gli ucraini in tutti i campi, dalle medicine alle coperte, agli aiuti alimentari e anche alle armi. Non ci salviamo la coscienza perché siamo stati pacifisti, se un popolo viene bombardato. Per questo serve un’iniziativa nuova che produca davvero uno spazio negoziale, che non deve essere basato su una logica di escalation e di progressivo riarmo. Ognuno di noi deve dare un contributo, l’appello che abbiamo firmato va in questa direzione. Speriamo nella saggezza di tutti e che anche in Russia si inizi a riflettere.