Il pamphlet di Andrea De Benedetti, 100 pagine fresche di stampa per Le Vele di Einaudi, affronta il dibattito sul linguaggio inclusivo con una certa attenzione alle sue ricadute sociali e, possiamo aggiungere in sede di recensione, economiche e politiche. Con il linguaggio del bel tempo che fu, verrebbe da dire che si parla di sovrastruttura per parlare di struttura e non di sottostruttura.
Andrea de Benedetti è uno dei tanti professori di scuola che deve supplire alle carenze dell’accademia che ormai esclude sistematicamente la gran parte della vivacità culturale che residua in questo paese. Lo conosciamo anche come giornalista sportivo per Tuttosport, il Guerin Sportivo e il manifesto ma la sua prima veste, in questo libro, è quella di linguista attento, molto attento, al rapporto tra la lingua e la società.
Il libro bandisce subito, giustamente, qualsiasi dissenso rispetto all’obiettivo alla base della proposta di Vera Gheno: la società deve essere inclusiva per ogni persona, indipendentemente da come questa si identifichi circa la propria sessualità. Dunque, escluso dal dibattito chi vuole continuare a discriminare le persone sulla base dei loro comportamenti sessuali, affronta il merito della proposta: l’uso in luogo delle vocali con cui si identifica il femminile e il maschile della schwa.
La schwa (in italiano scevà) si indica con il grafema “ə” ed è il simbolo grafico della vocale centrale media dell’indoeuropeo preso a prestito dall’alfabeto fonetico. La parola è giunta in italiano attraverso il tedesco, schwa, ma è originaria dall’ebraico שווא (šěwā›) dove vuol dire insignificante, significato appunto scelto per indicare che il genere della parola non ha alcun significato, ossia è fluido e definito in maniera indipendente e magari differente dai parlanti coinvolti.
Le 90 pagine, che poi sono 80 tolta l’introduzione, pongono sul piatto, partendo dalle considerazioni linguistiche, il cuore del problema, ossia il fatto che l’inversione dell’attenzione tra il significato - la sostanza delle cose ossia la reale discriminazione nella società - rispetto al significante - ossia l’apparato linguistico che la rappresenta - è funzionale non alla liberazione umana ma alla perpetuazione della alienazione; ossia è uno di quei tanti capitoli del liberismo, un liberismo capace di fagocitare tutto, e farne marchio e merce, come le magliette con stampato il compagno Che Guevara hanno anticipato negli anni ’80 del secolo scorso.
Gli argomenti sono sempre tecnici ma dietro, scorrendo il testo, sentiamo il respiro profondo dell’autore che riflette nelle società, una riflessione che ha sullo sfondo i rapporti di potere tra le classi sociali, benché affrontate in maniera neutra come i diversi insiemi di parlanti che compongono coloro che parlano l’italiano. Siamo certo nel solco di una tradizione ben radicata nella sinistra, si pensi all’opposizione del Partito Comunista Francese alla riforma della lingua scritta come tutela dei ceti popolari, che magari meccanicamente avevano così appreso la lingua o alla affermazione della négritude, la negritudine, da parte di Léopold Sédar Senghor, il presidente socialista del Senegal che provò a ribaltare l’uso della parola negro per affermare invece l’identità e ricordare l’oppressione dei popoli africani. Passaggi che richiama l’autore nel libro. Non c’è dubbio che lo stesso movimento operaio, al suo sorgere e ovunque non sia diventato governo della nazione, abbia mantenuto nei propri nomi elementi identitari che palesavano il disprezzo della borghesia verso le organizzazioni operaie stesse: l’Adunata dei Refrattari, il Canto dei Malfattori ai prodromi della storia anarchica e pure però il termine brigata tanto caro ai partigiani garibaldini.
La dittatura dei significanti per l’autore non è uno strumento di trasformazione della società ma, piuttosto, uno strumento di accettazione della stessa, di negazione delle discriminazioni, noi diremmo alienazioni, che produce nascondendole sotto il politicamente corretto. Si tratta insomma, nella sostanza, di uno degli strumenti con cui viene assopito ed escluso il conflitto cancellandolo dalla lingua per toglierlo dalle cose e non uno strumento per agire il conflitto: non vi sarebbe alcuno scandalo a cambiare lo stato di cose presenti con gli strumenti e la lingua della borghesia. Per l’autore la scelta di usare la schwa, in fin dei conti, rappresenta una manifestazione della società fluida e non una soluzione alle dissimmetrie di genere nella società italiana.
“Così non schwa. Limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo”
di Andrea De Benedetti
Editore: Einaudi
Collana: Vele
Data di Pubblicazione: maggio 2022
EAN: 9788806254285
ISBN: 8806254286
Pagine: 104
Formato: brossura