Deborah Gressani e Giorgio Sacchetti hanno ricostruito, per la prima volta, la storia del movimento dei soldati negli anni Settanta. Una vicenda poco conosciuta, ma che merita di essere valorizzata; una vicenda che ha coinvolto, tra i chiamati alle armi, le generazioni del dopoguerra (la leva, oggi sospesa, era obbligatoria e riguardava tutti i cittadini maschi, salvo eccezioni). Gressani tratta – nella prima parte del saggio – le tappe salienti del movimento dalla sua nascita nel 1970, sulla spinta del ‘68, fino alla fine del Movimento; la seconda parte, curata da Sergio Sinigaglia – militante di Lotta continua, tuttora attivo nei movimenti sociali della sua città, giornalista, saggista e scrittore, nonché collaboratore in più occasioni di “reds”, e tra i protagonisti del movimento – ha un contenuto narrativo e testimoniale; la terza parte, di Giorgio Sacchetti, si sofferma, dopo alcune riflessioni storiche, su alcuni rapporti di polizia di allora sul movimento, documenti reperiti negli Archivi di Stato di Torino e Roma. Chiudono il testo una sezione fotografica, con alcune immagini inedite, e un’appendice su Franco Travaglini, considerato tra i fondatori del movimento, scomparso lo scorso anno, a cui è dedicato il volume.
L’intento è offrire un quadro delle lotte che attraversarono le caserme italiane a partire dal 1970 e che diedero vita a un movimento capace di relazionarsi con altri settori della società. Il testo ripercorre le principali tappe che trasformarono un clima di malcontento nei confronti della naja in un vero e proprio movimento di massa, capace di far proprie le istanze democratiche presenti nella società italiana del tempo e alimentate dall’agire di quella parte della sinistra extraparlamentare interessata ad allargare la pratica politica a soggetti tradizionalmente estranei al dibattito pubblico, in continuità con lo spirito del ’68.
“Le formazioni fuoriuscite dalla contestazione studentesca e poi operaia, fortemente politicizzate e gradualmente confluite nell’alveo della sinistra extraparlamentare, non miravano alla messa in discussione integrale dell’istituzione militare e, di conseguenza, non ne chiedevano la totale abolizione. Parte della «Nuova sinistra» italiana sviluppò le proprie posizioni rispetto alla questione militare partendo dall’assunto di un’imminente rottura rivoluzionaria, che rendeva dunque urgente e necessario un intervento politico all’interno dell’esercito in vista dell’insurrezione generale4. Da questo punto di vista, la coscrizione obbligatoria non andava abolita, pena la costituzione di un esercito professionale al servizio del sistema borghese; semmai all’opposto, essa diventava «la condizione ideale per svolgere il lavoro di penetrazione nell’esercito» penetrazione nell’esercito» in vista dell’obiettivo rivoluzionario”. (pag. 13)
La ricostruzione storica consente di riflettere sul “paradosso” o – in realtà – confermare l’adagio che le riforme siano un prodotto (secondario nelle intenzioni dei rivoluzionari, ma forse storicamente inevitabile) di movimenti che ponevano il loro agire sul piano della sovversione organizzata per rovesciare lo stato di cose esistenti e dare vita ad una nuova società di liberi e uguali. I militanti della sinistra rivoluzionaria italiana, tra il 1969 e il 1977 – per una periodizzazione semplificativa – erano convinti di dover fare la rivoluzione e quello era lo scopo del loro agire politico in fabbrica, nelle scuole, nelle caserme, nelle carceri, nei quartieri.
“Il 1975 rappresenta il momento di massima mobilitazione dei soldati. Il 22 novembre, a Roma, 220 delegati di 133 caserme parteciparono a un’assemblea nazionale del movimento, con l’obiettivo di preparare una giornata nazionale di lotta, prevista per il successivo 4 dicembre. Alla mobilitazione generale organizzata dalle formazioni della sinistra extraparlamentare parteciparono più di 70 caserme, con migliaia di soldati scesi in piazza. Sulla scia del movimento, iniziarono a mobilitarsi «anche frange del “quadro permanente”» che vedevano schierati in prima fila i sottoufficiali dell’Aeronautica militare. Sottoufficiali e ufficiali, contagiati dalla mobilitazione dei soldati, si politicizzarono in breve tempo, dando vita a un movimento che tra il 1975 e il 1976 si estese considerevolmente”. (pag. 18)
“(…) Il movimento, inoltre, da fenomeno legato alle prospettive della sinistra extraparlamentare, era riuscito a liberarsi dei residui più marcatamente rivoluzionari: la spinta democratizzatrice contribuì in maniera determinante a creare una breccia nel muro che rendeva invisibile all’esterno la condizione del soldato di leva e le contraddizioni della vita di caserma, costringendo le forze politiche a fare i conti con una realtà, quella militare, che non era più possibile ignorare. (pag. 85)
Per i compagni pensionati, che il militare lo hanno fatto e che, se sono tra i nostri lettori, del movimento hanno fatto parte o hanno simpatizzato, buona immersione nei ricordi; per le compagne tutte e i compagni lavoratori ancora attivi, tanti dei quali l’esercito lo conoscono per le foto-ricordo in bianco e nero di qualche nonno o genitore in divisa, l’insegnamento che la lotta di classe si può fare – e organizzare ovunque – figuriamoci in un qualsiasi posto di lavoro.
S’avanza uno strano soldato. Il movimento per la democratizzazione delle Forze armate (1970-1977)
di Deborah Gressani, Giorgio Sacchetti, Sergio Sinigaglia, DeriveApprodi, 2022, pag. 192, 18,00 €
(Il libro è dedicato a Franco Travaglini)