Al Pd piace farlo strano. Nato con la vocazione maggioritaria, il partito di Walter Veltroni ed Enrico Letta non ha mai nascosto la sua passione per il bipolarismo. Continua a rimpiangere il mattarellum, di cui l’attuale rosatellum è legittimo erede. Prova ne è che la trimurti di destra Fdi-Lega-Fi continua, come nel 1994, a presentarsi in coalizione. Il meccanismo elettorale indica questa via, perché più di un terzo dei futuri eletti dal popolo (221 su 600) staranno scelti in collegi uninominali. Insomma vince chi ha un solo voto in più dei contendenti, e per chi non si coalizza resta solo il salvagente della quota proporzionale. Un semi-bipolarismo che avvantaggia, se l’obiettivo è il governo, chi mette tutti dentro, poi si vedrà. La logica avrebbe suggerito anche solo un accordo ‘tecnico’ fra gli avversari di Meloni, Salvini e Berlusconi per essere competitivi nella quota maggioritaria. Invece gli strateghi dem non hanno trovato di meglio che ostracizzare il Movimento cinque stelle e fare un’offerta di alleanza a Carlo Calenda, oltre che a + Europa di Emma Bonino e ai Rosso-Verdi di Fratoianni e Bonelli. Invece Calenda, dopo averci pensato un po’ su, ha preferito la compagnia di Matteo Renzi (altro ostracizzato dal Pd), denunciando che lui, apostolo di Mario Draghi, con Verdi e Sinistra Italiana non vuole avere niente a che fare. Risultato: le elezioni per il Pd sono perse in partenza. E dato che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, come ebbe a dire il sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti, la annunciata vittoria delle destre è stata messa in conto. Perché poi chissà cosa potrà succedere in un autunno che si annuncia rigido, non solo per l’obbligato risparmio sui riscaldamenti nelle case delle italiane e degli italiani. Soffierà il vento e infurierà la bufera, un buon motivo per andare a votare e sperare che la fine della storia non sia già stata scritta dai sondaggi. Mentre una guerra insensata in Europa continua ad andare avanti.