L’intervento di Andrea Montagni all’Assemblea nazionale del 16 settembre
Compagne e compagni, mentre ci riuniamo, come ogni giorno dal 24 febbraio 2022, in Ucraina muoiono decine e decine di persone, civili, anziani, donne, bambini e soldati, ucraini e russi, miliziani e volontari delle repubbliche indipendentiste, e mercenari arruolati nei vari schieramenti; una guerra per la gente dell’Ucraina orientale che è iniziata ben prima, dopo il colpo di stato banderista a Kiev nel 2014. Tutti ricordiamo l’orrendo massacro dei nostri fratelli e sorelle ammazzati a decine nella sede dei sindacati ad Odessa. Tutti ricordiamo il giovane comunista Vadim Papura.
La gente fugge e lascia il paese e ogni giorno di guerra coinvolge sempre più – per scelta dei governi – i paesi della Unione europea, Italia compresa. Chi fugge, a milioni trova rifugio o in Russia o nei paesi della Unione europea e trova aiuto e assistenza. Si uniscono alle centinaia di migliaia di profughi delle altre guerre, da quella siriana a quella libica, a quella civile tra tigrini e amhara con il concorso eritreo, a quelli dei conflitti e della fame dell’Africa subsahariana e forse a giorni quelli della guerra tra Armenia e Azerbaigian e tra Tagikistan e Kirghizistan; ma per i profughi degli altri conflitti, però non c’è accoglienza, ma la roulette russa del deserto e del mare o il freddo e le botte della rotta balcanica, con i flussi decisi dai signori della guerra libici e dal tiranno Erdogan. E i morti, i tanti morti, per il freddo, l’annegamento, la fame, la sete, le botte. E poi, se la scampano!, la negazione dei diritti dei profughi e i campi di detenzione previsti dai Decreti Minnini e Salvini.
Come nel 1914 e nel 1938, le aspirazioni nazionali, legittime o meno, la necessità di regolare i rapporti tra Stati e potenze divengono pretesto per la guerra. Sappiamo che in queste condizioni riemergono dal ventre della storia il fascismo, il nazionalismo, il bellicismo, il razzismo. Come nel 1914, come nel 1939, noi non stiamo da nessuna parte: non perché non vediamo torti e ragioni, l’oppressione fascista delle popolazioni russofone del Donbass e la decisione russa di violare un paese sovrano violandone i confini, o perché non sappiamo distinguere gli oppressi e gli oppressori, non perché non vediamo la crudeltà, la cattiveria di chi la guerra scatena, ma perché sappiamo che la pace, il dialogo, la fratellanza internazionalista sono la soluzione.
La pace, noi vogliamo la pace! Invece, la guerra nucleare e mondiale sono una prospettiva. Guardando le forze in campo e lo scacchiere internazionale forse la guerra, la terza, è già iniziata…
La guerra – a cui l’Italia partecipa con le sanzioni e la fornitura di armi e di intelligence – si riflette sulle nostre vite. Crescono le bollette energetiche, fare la spesa è sempre più un problema per tante famiglie, per i pensionati, per tanti lavoratori, perché la povertà, sia quella relativa che quella assoluta, sta crescendo e i salari non reggono più.
Ci dicono che bisogna prepararsi ad una economia di guerra, ad una riduzione delle produzioni, ad una contrazione dei consumi industriali. Ci dicono che i posti di lavoro persi durante la pandemia non potranno essere recuperati, anzi che forse bisognerà mettere in conto una contrazione ulteriore della occupazione e la crescita di quanti un lavoro non lo cercano più, non solo dei disoccupati. Si prospetta una crisi sociale vasta e che non sappiamo ancora determinare.
Sono orgoglioso che la CGIL si sia tenuta fuori dal bellicismo dilagante, continuando a schierarsi per la pace, contro il riarmo. Dovremmo spronare i nostri compagni nei sindacati europei, nella CES a partire da quelli russi e ucraini, e del mondo a schierarsi anch’essi per la pace. Le parole di Landini, mercoledì a Bologna su questo, sono state molto belle e chiare.
Chi lavora ha bisogno di essere tutelato, difeso. Bisogna aumentare i salari, migliorare le condizioni di lavoro e difendere ogni posto di lavoro. La pentola bolle e se non ci saranno risposte, esploderà!
Sappiamo che oggi siamo meno forti di ieri. La crisi ha inciso anche sulla forza del sindacato, indebolendone la capacità di rappresentanza e di tutela in tanti settori: penso ai servizi, alla ristorazione, al turismo, ma anche alle conseguenze della desertificazione industriale. Sulla nostra debolezza pesa, in quota parte, anche l’opportunismo di chi gestisce il tran-tran quotidiano della attività sindacale. Non facciamo sconti: l’opportunismo del quieto vivere, del timbrare il cartellino, di andare svogliatamente alle riunioni, di evitare il confronto con i lavoratori per conquistarli e motivarli è presente anche tra noi.
Riconoscere i fattori oggettivi della nostra debolezza non giustifica i nostri ritardi! Oggi più di ieri il fare conta e conterà più che il dire!
Dopo le elezioni, se il clima che respiriamo sarà confermato [eccome se è stato confermato!, ndr] avremo un governo che proseguirà in politiche ostili verso i lavoratori, con una probabilità alta che si caratterizzi in più per politiche securitarie e antidemocratiche, con una ripartenza anticostituzionale autoritaria e presidenzialista.
Alla CGIL saranno richieste prove e impegni tremendi. Cerchiamo di essere all’altezza, con un congresso che parli a tutto il mondo del lavoro e al paese, che indichi la via della mobilitazione.
Pace, pane e lavoro!, dicevano i nostri nel secolo scorso. Sono parole d’ordine ancora chiare e valide.
Abbandoniamo le illusioni e prepariamoci alla lotta!