Rinnovamento nella continuità. Lo slogan di uno dei più celebri poster elettorali della Democrazia cristiana, alla metà degli anni Settanta, calza come un guanto alle prime gesta del governo guidato da Giorgia Meloni. Il sorrisone di super Mario Draghi alla cerimonia della campanella valeva più di mille parole: il migliore dei migliori, il papa laico della politica italiana, benediceva la sorella d’Italia come si fa con gli studenti che hanno imparato bene la lezione. Draghi sembrava l’irresistibile Muttley dello Squadrone avvoltoi in caccia del piccione Simone, tanta era la sua soddisfazione nel sapere che il suo successore a palazzo Chigi avrebbe seguito la rotta tracciata nei diciotto mesi precedenti. A riprova, il nuovo governo, ha subito ribadito fedeltà a Usa, Nato sulla guerra in Ucraina. Al partito della guerra. La nuova, ennesima versione della Casa delle libertà inventata da Silvio Berlusconi nel 1994, immagine plastica del trentennio che abbiamo alle spalle, non cambierà, a occhio, le politiche care al blocco conservatore che, di riffa o di raffa, occupa saldamente la plancia di comando della nave Italia. Con le ciliegine avvelenate sulla torta di una spinta presidenzialista nell’assetto istituzionale, e di una autonomia differenziata che peserà sulle fasce più povere della popolazione, e per lo stesso concetto di uguaglianza dei cittadini verso lo Stato. Nel segno di quel principio classista per cui se sei ricco è perché te lo meriti, se non lo sei è fondamentalmente per i tuoi demeriti. Il ribattezzato ministero dell’istruzione e del merito, con la sua idea aziendale del pianeta scuola, ne è la prova del nove, quella che imparavamo a scuola da bambini. Quanto ai conflitti di interessi che riguarderebbero alcuni esponenti di primo piano del governo, parlarne sapendo che i berlusconiani fanno parte anch’essi del nuovo esecutivo è inutile. Come dice l’antico proverbio cinese, se il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito.