Tre mesi, 90 giorni, 2.160 ore di guerra, morte e distruzioni.
Quasi 25.000 morti, decine e decine di migliaia di feriti, uomini donne e bambini; ospedali, scuole, università, moschee, case distrutte. La gente sospinta con la forza verso il confine meridionale della striscia di Gaza in una gigantesca pulizia etnica. Coloni e soldati che ammazzano anche in Cisgiordania (oltre 200 fino ad oggi, dal 7 ottobre) e arrestano (migliaia).
Il popolo palestinese è vittima della “punizione collettiva” di uno Stato spietato che agisce convinto che il “mai più” che ogni 27 gennaio pronunciamo, nell’anniversario dell’ingresso delle truppe sovietiche nel campo di sterminio di Oœwiêcim (Auschwitz), valga solo per gli ebrei e non valga per ogni altro popolo, etnia, comunità religiosa, minoranza che sia sterminata per la sola colpa di esistere e di essere diversa.
“Non in mio nome!”, gridano le anime dei combattenti del Ghetto di Varsavia.
“Non in mio nome!”, gridano i combattenti della guerra antifascista, i partigiani che hanno contribuito alla sconfitta dei fascisti tedeschi in tutta Europa e i tanti ebrei che insieme a loro hanno combattuto nelle forze partigiane in Europa orientale e nelle truppe alleate.
“Non in mio nome!” gridano in tutto il mondo gli eredi delle vittime dello sterminio nazista, degli ebrei, degli zingari, degli omosessuali, dei Testimoni di Geova, quelli delle pulizie etniche e degli stermini di prima (i nativi americani, gli herero e i nama, i congolesi, gli armeni) e quelli di poi (gli hutu, i bosniaci, i kurdi, i rohingya).
Non confondiamo i delitti dello Stato di Israele con gli ebrei. Ci battiamo, da sempre, contro ogni rigurgito antisemita.
Per questo, diciamo alto e forte: il popolo palestinese ha diritto all’autodeterminazione e alla libertà! Il popolo palestinese ha il diritto e il dovere di resistere con qualsiasi mezzo!
Sosteniamo ogni iniziativa a sostegno del popolo palestinese e della sua causa, per porre fine al massacro e imporre una tregua che porti alla pace nella giustizia.