Leggi e rileggi, l’accordo sulla riforma del cosiddetto Patto di stabilità e di crescita all’interno dell’Unione europea può essere chiosato con il vecchio detto “dalla padella alla brace”. Non solo perché chiude la parentesi positiva avviata con una efficace gestione economica della pandemia, fino a quel Next Generation Eu – diventato in Italia il Piano nazionale di ripresa e resilienza – che ha consentito di finanziare interventi pubblici in settori strategici. Soprattutto perché, come il vecchio Patto che è stato definito “stupido” anche dall’ex presidente della Commissione Ue, Romano Prodi, anche il nuovo mette al centro il totem della riduzione del debito pubblico. Legando di fatto le mani all’intervento statale in economia, per lasciare campo libero all’assai presunta efficienza del mercato. Con risultati che negli ultimi trent’anni sono sotto gli occhi di tutti, visto l’impoverimento dei tantissimi che per vivere devono lavorare, a tutto vantaggio di una minuscola percentuale di straricchi.
Scrive in proposito l’economista Emiliano Brancaccio: “In sostanza il nuovo accordo insiste su un duplice obiettivo, di schiacciare sia il debito pubblico che la spesa pubblica. Viene così dimenticata la lezione della grande crisi del 2008, che si propagò dall’economia americana al mondo intero a causa di un problema di spesa e di debito eccessivi da parte del settore privato, non certo del pubblico”.
In questo contesto, il governo italiano guidato da Giorgia Meloni si è ben guardato dal puntare i piedi, denunciando che l’Ue chi di fatto ne tiene la guida – Germania e Francia – non considera che solo gli investimenti pubblici possono aiutare a programmare un futuro sostenibile sul piano sociale e ambientale. Invece, rinnegando per l’ennesima volta la narrazione di “destra sociale” con la quale è arrivata a guidare il paese, Meloni &c. hanno accettato di firmare il nuovo Patto. Con l’autentica furbata di esigere in cambio un bonus di tre anni, tanti quanti ne passeranno prima che entrino pienamente in vigore le nuove regole più stringenti sul rapporto tra il debito e il Prodotto interno lordo, e tra il deficit e il Pil. Insomma se ne parlerà nel 2027, quando questa legislatura sarà al termine e nuove elezioni politiche decreteranno a chi spetterà il governo del paese.
Il falso problema del Mes, su cui ha tanto strepitato il governo Meloni, è diventato in realtà lo specchietto per le allodole con cui l’esecutivo di destra ordoliberista Fdi-Lega-Fi ha cercato di galvanizzare i suoi elettori/elettrici e fidelizzarne di nuovi. Fingendo di essere contrario alle regole dell’austerità che invece sono tornate prepotentemente alla ribalta e diventeranno ancora più ferree in futuro. Ennesima riprova della cecità dei governanti del vecchio continente, in questo l’Italia è in robusta compagnia, di fronte alle vere e proprie emergenze sociali e ambientali che stanno sempre più connotando non soltanto l’Europa ma l’intero pianeta. Emergenze che possono essere disinnescate solo con decisi interventi pubblici per una ordinata transizione ecologica.