I rapporti in azienda tra organizzazione del lavoro e gerarchia, comando e diritti
Le aziende moderne parlano di planning, problem solving, human resources, ma come possa una azienda altresì moderna, nel suo evolversi, non tener conto dell’individualità delle proprie dipendenti, della loro sfera privata, più intima, di tutto ciò che amano essere aldilà dell’etichetta “addetta vendite” , tanto da esigere loro che si possa lavorare in una turnazione non prevista dal contratto: notturna, magari a seguito di un festivo, condizionando la spensieratezza della libertà, senza pensare allo stravolgimento della vita di noi stesse?. Quanto è barattabile, a causa di un server, o di una banale operatività organizzabile, ciò che sia sancito in un contratto individuale? Perché spetta sempre a noi della working class dover restituire qualcosa in più? per esempio il nostro tempo?
Mi piacerebbe pensare che la condizione precaria, non sia sempre subordinata alla perdita di un diritto, mi spiego meglio: la costante minaccia del poco lavoro, o vivere l’azienda come chi ci regali lavoro o stipendio, ci porta ad accettare qualsiasi tipo di richiesta creando una dicotomia servo-padrone, e ci induce a convincerci che lo sfruttamento sia il correlato perfetto del lavoro stesso, facendoci dimenticare che il buon lavoro, è un diritto costituzionale, e che noi lavoratori e lavoratrici siamo la pura essenza e la grande forza produttiva, soprattutto, della nostra azienda.
La modernità di una azienda mi aspetto preveda, all’albore del 2024, soprattutto, la relazione e interazione con le proprie dipendenti e i propri lavoratori, frasi emozionali del tipo “Siamo una grande famiglia”, “Si è sempre fatto così” , non solo subordinano uno sforzo produttivo, ma scaturiscono un coinvolgimento emotivo, per il quale dall’alto della nostra precarietà non si veda altra via di risoluzione, falsando la realtà, dove la benevolenza della grande famiglia sia, al contrario, ricerca di profitto, e se questo profitto non diventi anche nostro, ma anzi richieda uno sforzo tutto nostro, dovremmo sempre poter esercitare il diritto di tirarci indietro senza sentirci in colpa, non abbiamo più nulla da restituire al datore di lavoro.
Lo sciopero, come stabilito dall’art. 40 della Costituzione, rimane l’unico strumento che effettivamente tuteli noi dipendenti nel rapporto tra le parti.
In un contesto dove nessun lavoratore e nessuna lavoratrice possa permettersi di venir meno alla retribuzione di anche solo una giornata di lavoro, lo sciopero è l’unica tutela, per fare in modo che, pro-futuro, si possano mettere in semina percorsi di comunicazione, che rispettino soprattutto il rapporto vita-lavoro, e ancor prima i contratti, che spesso vengono stravolti a seconda della fantasia o esigenza dell’azienda stessa, per esempio: Una azienda che in tempi di pandemia, per risparmiare, e salvaguardare l’interezza aziendale, tradotta in punti vendita, e posti di lavoro senza dubbio, modifichi comunque unilateralmente una clausola contrattuale che prevede la maggiorazione del 60% di domeniche e festivi, può definirsi collaborativa?
Non sarebbe più umanamente accettabile che il profitto non sia letto in maniera gerarchica, ma che anzi la giusta distribuzione della rendita debba passare prima dalla forza lavoro e poi al datore di lavoro?
Non sarebbe lodevole al contrario che, il contesto pandemia abbracciasse, in qualità di bisogno, soprattutto la classe operaia e non dirigente?
Sciopero come strumento di lotta, ma mai divisiva, ma mai di potere.
Sciopero come sinonimo di unione, di rispetto, di rivalsa in nome della comunicazione.
Aprire percorsi di diritti, tramite lo sciopero è l’unico modo che abbiamo per sperare ancora che ci possa essere un futuro lavorativo che stia al passo con l’evolversi della vita, perché se il contesto della società é soggetto ad un consumo veloce, superficiale e di tendenze passeggere, allora facciamo che i contratti di lavoro abbiano la giusta attenzione, cura e rispetto nel coglierne il potere.
Sono una dipendente della Pittarello SPA, e mi sono ritrovata a cogliere questa riflessione profonda, a seguito di alcuni episodi, di cui tratto sopra in larga scala, come sciopero e modifiche contrattuali unilaterali, la maggiore espressione d’amore io possa manifestare nei confronti della mia azienda e del buon lavoro: porre punti interrogativi.
Significa avere una attitudine dinamica al cambiamento e accettazione di cambiamento traducibile in collaborazione tra le parti, con contratti sospesi da anni ormai, abbiamo bisogno di una voce corale che unisca azienda e dipendenti, dove l’azienda sia sinonimo di ascolto e non imposizione, senza che si lasci indietro nessuno, perché mi piace pensare, come diceva Laurie Anderson: “In cima c’è posto per tutti!”.