Assicurano di aver digerito anche gli ultimi effetti collaterali della lunga sbornia blairiana, e alla vigilia delle elezioni continentali di giugno promettono di tornare a studiare sugli assi cartesiani delle socialdemocrazie di una volta, quelle degli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, capaci di imporsi nel panorama continentale grazie al loro robusto carico di conquiste sociali e sindacali. Però, quando si tratta di affrontare il tema capitale della guerra e della pace, tornano purtroppo ai terribili anni della prima guerra mondiale e dei “crediti di guerra”, che segnarono il tracollo della Seconda Internazionale socialista.
Così, nel giorno in cui il congresso del Partito socialista europeo, alla Nuvola di Roma, incorona Nicolas Schmit come candidato alla guida della Commissione Ue, i principali leader socialisti e socialdemocratici ribadiscono con forza la direzione di un sostegno armato a Kiev. Una mossa che si traduce inevitabilmente nel supporto all’industria bellica come anche nell’aumento delle spese militari dei paesi Ue. Spese promesse dopo il caldo invito a raggiungere l’obiettivo del 2% del Pil in armamenti, arrivato dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.
Per fortuna dal congresso arriva una doverosa presa di posizione contro la carneficina in corso nella Striscia di Gaza, e un secco “no” all’ipotesi, ventilata dal presidente francese Emmanuel Macron, che l’Alleanza atlantica partecipi con propri uomini al conflitto tra Russia e Ucraina: “Il nostro sostegno è fondamentale per ripristinare la pace in Europa – ha sentenziato il cancelliere tedesco Scholz - ma i nostri Paesi nella Nato non diventeranno mai parte diretta di questo conflitto, non invieremo le nostre truppe in Ucraina e faremo di tutto per impedire questo tipo di evoluzione”. Sulla stessa linea Elly Schlein: “Continueremo a sostenere l’Ucraina con ogni mezzo necessario, ma questo non significa e non comprende l’invio di truppe di terra, questo deve essere chiaro”.
La morale della brutta, sanguinosa favola è comunque chiara. A tal punto che il lussemburghese Nicolas Schmit, candidato del Partito socialista europeo alla guida della Commissione Ue, nel suo discorso di investitura chiede al congresso “di non abbandonare mai gli ucraini”, invitando “a fare di più e con grande urgenza”. Traduzione: fra i punti del manifesto del Pse per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno, approvato dall’assemblea dei delegati insieme alla scelta del candidato, si legge: “La guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina segna un punto di svolta nella storia. Manteniamo fermo il nostro sostegno incondizionato all’Ucraina, fornendo assistenza politica, umanitaria, finanziaria e militare per tutto il tempo necessario”. Di sforzi diplomatici per avviare, dopo due sanguinosi anni di guerra, quantomeno delle trattative serie, il manifesto del Pse non parla, se non al limite come foglia di fico per giustificare il riarmo che è già in corso nei principali Paesi dell’Unione. Compresa, naturalmente, l’Italia. Con tanti saluti ad una Europa che comprenda, così come è sempre stato nell’era moderna, la Russia, e senza curarsi della possibilità, remota ma potenzialmente in campo, di una escalation nucleare. Il tutto mentre le piazze italiane sono sempre più piene di chi chiede il cessate il fuoco in ogni zona di conflitto armato del pianeta. A partire dal tentativo di genocidio palestinese.