Indovina chi viene al congresso? Giorgia Meloni. Proprio lei, la presidente del Consiglio, prima donna a diventare inquilina di palazzo Chigi, leader politico di una formazione che in pochi anni è diventata prima forza del paese, e che continua a mantenere la fiamma mussoliniana nel simbolo del partito. Un intervento, il suo, senza sorprese né buone notizie. Nel solco di una politica che non è quella della destra sociale, che pure era stata propagandata per anni per raccogliere voti tra le classi meno abbienti.
Piuttosto quello di una destra liberista a tutto tondo, erede diretta delle controrivoluzioni finanz-capitaliste di Ronald Reagan e della signora di ferro Margaret Thatcher. Una visione del mondo filostatunitense, con gran scorno dei pochi intellettuali del suo partito ben più eurocentrici. Guai ai vinti, siano essi lavoratori e lavoratrici sfruttati, immigrati in fuga da guerre, violenze e carestie, anime belle pacifiste. “Non è con le bandiere arcobaleno che libereremo l’Ucraina”, una frase che basta da sé a certificare la scelta di campo di Meloni e del suo governo sullo stesso sentiero battuto dai ‘migliori’ di Mario Draghi. Non c’è da stupirsi che la platea della Cgil abbia ascoltato Meloni in un silenzio tombale, rotto solo da un timido applauso quando la presidente del Consiglio ha denunciato le violenze squadriste alla sede centrale del sindacato. Violenze, di vecchi e nuovi camerati, che rischiano di farle perdere voti e soprattutto quella connessione sentimentale con il popolo di cui si vanta.
Per altro la stessa che da trent’anni a questa parte porta quasi invariabilmente la trimurti italiana di destra ieri Berlusconi Bossi Fini, oggi Meloni Berlusconi Salvini al centro della scena politica e spesso al governo del paese. Sostiene Meloni che i tempi sono cambiati, e che è arrivato il momento di una pacificazione nazionale. Intanto però il virus di un revisionismo sempre più diffuso permea la vita quotidiana delle italiane e degli italiani.
Con punti di caduta, come le violenze agli studenti del liceo fiorentino Michelangiolo, di fronte ai quali il governo, come il re della favola, resta nudo. Un esecutivo che asseconda le pulsioni salviniane dalla difesa delle frontiere, a ogni costo, per evitare l’invasione dei negri africani che rubano il lavoro e violentano le donne.
Un’autentica vergogna, su cui non basteranno anni e anni di scuse ai migranti dell’India, del Bangladesh, del Pakistan, del grande Medio Oriente e del continente africano, a fronte delle tante nefandezze cui sono stati fatti oggetto dai generali governanti della fortezza Europa.