Pregi e limiti delle teorie di Boris Kagarlitsky sul rilancio del socialismo in Europa - di Francesco Barbetta

Il libro di Boris Kagarlitsky La lunga ritirata. Per la rinascita del socialismo in Europa è una lunga e articolata riflessione sull’attualità del socialismo nella nostra epoca. L’autore parte da un presupposto molto importante: il socialismo è necessario perché è vincolato alle contraddizioni sociali che il capitalismo genera e non è in grado di risolvere da solo. Capitalismo e socialismo sono come due gemelli, non può esistere il primo senza generare anche la necessità del secondo.

Per questo motivo ogni tentativo di darlo per definitivamente morto è destinato al fallimento. Oggi però ci ritroviamo in una fase di ritirata del socialismo, una regressione politica, culturale ed intellettuale iniziata negli anni ‘70 che è coincisa con la sconfitta delle esperienze del socialismo reale e la fine del compromesso fordista tra capitale e lavoro nato dall’esistenza di un’alternativa sistemica al capitalismo e dalle lotte dei lavoratori. Non dobbiamo però darci per vinti. Le rivoluzioni borghesi tra il XV e il XVII secolo fallirono ma senza la loro esistenza non si sarebbero potute creare le forme di società civile borghese che conosciamo bene.

Allo stesso modo le rivoluzioni socialiste del XX secolo hanno aperto la strada ai primi tentativi di partecipazione universale al governo delle masse e di superamento del capitalismo. Una società socialista non potrà essere prodotta in un unico tentativo ma sarà frutto di un percorso storico fatto da una serie di riforme e rivoluzioni capaci di portare a cambiamenti irreversibili nella società sul lungo periodo, con annesse le correzioni di eventuali errori commessi o superamento di eventuali situazioni di stallo. Alla temporanea sconfitta del socialismo il capitalismo ha risposto in vari modi, dalla trasformazione delle burocrazie dei paesi socialisti in veri e propri capitalisti allo smantellamento del welfare state accompagnato dalla finanziarizzazione dell’economia fino ad arrivare allo smantellamento di quelle misure socialiste adottate dal capitale per superare le sue crisi e che hanno consentito al capitalismo di sopravvivere per tutto il XX secolo allontanando la previsione di Marx sulla necessità del socialismo.

Questa stampella socialista, con la scomparsa di ogni alternativa al capitalismo, è stata abbandonata ma ciò ha impedito al capitalismo di elaborare delle strategie adeguate per superare le contraddizioni fatte emergere dalle sue crisi, come è accaduto con quella del 2007-2008 che è stata affrontata non per mezzo di riforme radicali utili al loro superamento ma pompando nel sistema ingenti quantità di denaro che non hanno intaccato le cause profonde della crisi. A ciò si è aggiunta la pandemia del COVID-19 che Kagarlitsky analizza in maniera errata, pensando che le misure restrittive adottate non fossero commisurate al reale pericolo del SARS-CoV-2.

Questo lo porta a valutazioni sbagliate circa un inesistente autoritarismo sanitario e i movimenti che vi si sono opposti che fondamentalmente erano reazionari e mossi da un’idea neoliberale di libertà. Di conseguenza l’idea, diffusa in certe frange della sinistra radicale, di poter egemonizzare, tramite un tempestivo intervento del partito, questi movimenti a sinistra è assolutamente erronea. Dalla pandemia siamo passati alla guerra in Ucraina. Questo conflitto non è casuale ma figlio di una tendenza generale nel capitalismo che vede lo smantellamento del welfare state accompagnato dalla redistribuzione delle risorse economiche a favore delle strutture poliziesche e dell’industria bellica. Inoltre per Kagarlitsky questo conflitto è strettamente legato alla crisi del regime di Putin che sposta le sue contraddizioni all’estero alla ricerca della stabilità politica interna e delle risorse per ristabilire un equilibrio socio-economico e alla crisi dell’ordine economico mondiale neoliberista. Un altro elemento problematico del libro è la polemica dell’autore con le cosiddette guerre culturali. Le classi dominanti utilizzerebbero le guerre culturali, incentrate ad esempio sul genere e la razza, per sviare l’attenzione dalla disuguaglianza economica e dalla contrapposizione tra capitale e lavoro. Questo spingerebbe i lavoratori a scontrarsi tra loro su temi divisivi secondari, anziché unirsi contro il capitale. Questa lettura a mio avviso è molto sbagliata e non riesce a pensare ad una politica contro le identità che sono generate dal fattore unificante per tutte le forme di oppressione, ovvero il capitale.

Quali sono le ricette dell’autore per passare dalla ritirata all’offensiva? Per Boris Kagarlitsky dovremmo unire la lotta per la democrazia e quella per il socialismo. La democrazia è funzionale alla limitazione del potere delle élite attraverso la volontà collettiva. La borghesia, non necessitando storicamente della democrazia per i propri interessi, ha favorito la depoliticizzazione delle questioni economiche, creando un’apparente democrazia formale che ha però allontanato i cittadini dalla politica.

In questo contesto, la sinistra ha fallito nel proporre un’alternativa, riducendosi a macchina elettorale o a gruppi settari, e aprendo la strada all’ascesa di forze populiste e autoritarie. Kagarlitsky, riprendendo Rosa Luxemburg, sottolinea come la democrazia sia fondamentale per la trasformazione sociale, in quanto solo le libertà civili permettono di rendere lo Stato uno strumento della volontà popolare. Per questo la sinistra deve lottare per una trasformazione radicale dello Stato tramite un programma di transizione che, riprendendo il Manifesto del Partito Comunista, ponga le basi per una nuova logica di sviluppo basata sulla pianificazione democratica, l’autogestione e il controllo pubblico di settori chiave dell’economia. Questo processo, secondo l’autore, deve coinvolgere l’intera società nella costruzione di un nuovo modello di sviluppo che superi la logica del mercato e rigeneri la socialità, minacciata dal neoliberismo.


Boris Kagarlitsky  

di Andrea Montagni

Il compagno Boris Kagarlitsky, in carcere da febbraio per opposizione alla guerra di Putin, è un militante della sinistra russa fin dai tempi dell’Unione Sovietica brezneviana.
Autore di numerosi saggi, il suo “La lunga ritirata. Per la rinascita del socialismo in Europa” è edito da Castevecchi.


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