Complice una legge elettorale che fa a pugni con il dettato costituzionale, privilegiando ammucchiate anche eterogenee invece che fotografare quanto si muove nella società, il centro e la sinistra discutono di ‘campo largo’.
Nei sogni dei fan, altro non è che una riedizione dell’Unione prodiana, compagnia di giro che riuniva fra gli altri Mastella e Bertinotti, e che alle elezioni del 2006 riuscì a prevalere di un sospiro sulla trimurti - inventata da Berlusconi - FI Lega An. Più o meno vent’anni dopo, gli eredi del Cavaliere governano il paese, anche se la Casa delle libertà è diventata un rudere e il Popolo delle libertà si è spostato a destra e adora Meloni.
Sul fronte opposto più che campo largo sembra il campo di Agramante, leggi ‘gruppo di persone discordi e litigiose fra loro’. Anche se non siamo ai tempi del Boiardo e dell’Ariosto, il vestito calza a pennello a un centro e a una sinistra che non riescono a volersi bene. Vuoi che siano le nomine alla Rai, vuoi che siano le amministrative, c’è sempre un motivo o un altro perché i leader dei vari schieramenti politici di opposizione si accapiglino fra loro.
Certo, se nel campo largo figura l’ingombrante Renzi, è comprensibile che qualcuno, leggi M5s e Avs, arricci il naso. D’altra parte nello stesso Pd le differenze di sensibilità si sprecano. Succede così che anche nei referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, e a quello sulla cittadinanza sostenuto da un’ampia parte della società civile, ci sia sempre qualcuno che manca all’appello. Unica eccezione il referendum sull’autonomia differenziata, detta anche la secessione dei ricchi, sul quale è lo stesso centro destra a implodere.
Che fare? Come salvare capra e cavoli? In un paese con una legge elettorale decente, come quella tedesca, l’interrogativo non avrebbe ragione di esistere.
Ma l’Italia, si sa, non è un paese normale. Altrimenti il centrosinistra non avrebbe affidato a Mario Draghi le redini di un governo ‘tecnico’ che infiniti lutti ha addotto a chi per vivere deve lavorare.