Nelle nostre assemblee di organizzazione, nelle riunioni, negli incontri con i lavoratori, si discute di principi sacrosanti, di leggi che andrebbero scritte e approvate con un ritardo sociale di cinque, dieci anni almeno. Si parla di salario minimo, di una legge sulla rappresentanza, di indennità di vacanza contrattuale, di contrattazione inclusiva; discutiamo di come non sia accettabile il ricatto/scambio tra salari e diritti che viene prospettato in sede di contrattazione e rinnovi.
Ma domani ci sveglieremo e le nostre lavoratrici e i nostri lavoratori saranno ancora quelli del lavoro stagionale nero o, per i più fortunati, grigio. Saranno e saremo ancora quelli che non arrivano alla fine del mese, perché intrappolati nelle gabbie “dorate” di contratti sì a tempo indeterminato, ma part-time involontari. Saranno ancora schiavi di un sistema malato che a stento riusciamo a governare: il mondo degli appalti. Saranno ancora obbligati a una flessibilità inumana, al lavoro domenicale come regola e non come eccezione. Continueranno a lavorare con turni antisociali e nei festivi.
Continueranno ad andare in burn-out, ad ammalarsi o morire di lavoro, perché anche la salute e sicurezza sono un lusso che non possono permettersi.
Questo sistema come facciamo a combatterlo e scardinarlo da soli?
Come possiamo passare da una contrattazione il più delle volte difensiva, fatta con armi spuntate, alla costruzione di una nuova generazione di lavoratrici e lavoratori davvero consapevoli? Persone in grado di mobilitarsi per rivendicare qualcosa di meglio del peggio a cui si stanno rassegnando.
Combattiamo tutti i giorni un mondo del lavoro costruito sull’individualismo, l’egoismo e la competizione. Parole come comunità, solidarietà e altruismo stanno diventando anacronistiche.
Ma quando si parlava di confederazione non si parlava forse di questo, di comunità? Come CGIL non siamo una comunità di persone unita dagli stessi valori? Non ci riconosciamo tutti nel nostro quadrato rosso?
Non dovremmo quindi essere noi per primi solidali dentro quel quadrato? L’azione della nostra intera organizzazione non dovrebbe prima di tutto essere mossa dall’altruismo e dalla condivisione di valori?
I problemi di uno non dovrebbero essere i problemi di tutti?
E’ lo spirito con cui spero siamo scesi tutte e tutti in piazza il 7 ottobre: come comunità di persone, solidale e altruista. Condividendo le stesse lotte e gli stessi valori.
Poi ci saranno le nostre piazze e le nostre lotte per i rinnovi dei quindici contratti in ostaggio delle associazioni datoriali. Sarebbe bello, sarebbe giusto, sarebbe solidale e altruista che quelle piazze e quelle lotte fossero le lotte e le piazza della CGIL intera.
Vista la situazione di ricatto a cui siamo sottoposti dalle associazioni datoriali, i nostri tavoli di contrattazione devono essere i tavoli della CGIL intera! A quei tavoli deve pesare la presenza e la forza di un’intera comunità, non solo della FILCAMS-CGIL.
Perché altrimenti, come categoria, continueremo a fare ciò che possiamo con i mezzi che abbiamo. Faremo del nostro meglio e quel meglio non sarà più abbastanza. Perché in un mondo del lavoro come questo nessuno si salva da solo.
E da umile delegato di questa grande organizzazione mi continuo a chiedere se noi siamo la FILCAMS o la FILCAMS -CGIL.