‘Libertà è partecipazione’, cantava Giorgio Gaber. A suo modo un rivoluzionario, un artista che si esibiva raccogliendo fondi per salvare il quotidiano Lotta continua e al tempo stesso era amico di penna di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione. Manca a tanti Gaber, uno che metteva il dito nella piaga delle storture di una società italiana che pure sperava e sognava. Una società che oggi non c’è più, a giudicare dalle malinconiche, per non dire allarmanti affluenze al voto nei più recenti appuntamenti elettorali.
Sulla carta le ultime elezioni politiche le ha vinte la destra, il terzetto Fdi-Fi-Lega inventato da Silvio Berlusconi trent’anni fa, e da allora dominante (salvo rare eccezioni) nel panorama politico italiano. Ma se libertà è partecipazione, quando vota un avente diritto su due, o anche meno, la politica smette di avere un ruolo cardine nell’evoluzione di un paese. Una nave che va a prescindere dalla rotta e dal nome del comandante che la guida. Mentre nelle trasmissioni televisive, anche le più intelligenti, si discute della tragicomica attualità politica, fra ministri dimissionari feriti non solo nell’orgoglio ma perfino fisicamente dall’amante di turno (come Gennaro Sangiuliano) e liti in famiglia come nell’abrasivo ‘Parenti serpenti’ del maestro Mario Monicelli (Beppe Grillo versus Giuseppe Conte), le sale dei cinema si riempiono, una tantum, per vedere un film forse agiografico, forse oleografico, ma che sicuramente ha colto nel segno come il ‘Berlinguer’ di Elio Germano diretto da Andrea Segre. La grande ambizione di essere protagonisti della vita politica e sociale di un pese, qualcosa che è stato ma che non è più, da tanto, troppo tempo.
Il sindaco genovese di centrodestra Marco Bucci che diventa presidente della Liguria con un’affluenza al voto del solo 45% è la spia, l’ennesima, di un malessere di cui credevamo, almeno in Italia, di essere immuni. Invece no, non funziona più la pur incontestabile verità che sono morte decine di migliaia di persone per permettere alle italiane e agli italiani di riconquistare la libertà e la democrazia. Sono retaggi di un passato remoto, al pari all’immagine delle mamme che per far mangiare tutto ciò che era nel piatto ai figli evocavano le carestie africane con il loro indicibile portato di sofferenza di popolazioni che morivano, e muoiono tutt’oggi, letteralmente di fame.
Qualcosa si è rotto, di profondo, nell’accettazione di un panorama geopolitico di guerra permanente dove l’industria degli armamenti viene assunta come fattore di crescita. La riduzione a tifo calcistico delle grandi questioni che attanagliano l’intero pianeta, mettendo a rischio perfino la sopravvivenza della specie umana, rivela un vuoto quasi esistenziale di un’umanità diventata incapace di comprendere fino in fondo la portata delle proprie azioni. Peggio, molto peggio di quel compromesso storico che pure all’epoca cancellò le spinte rivoluzionarie di un bel pezzo di società italiana, ma che rispetto all’oggi appare una semplice fase politica di un tempo lontano, di fronte alla pioggia di bombe che cadono quotidianamente nei martoriati scenari di guerra che impestano il pianeta.
Scenari rispetto ai quali la seconda superpotenza mondiale color arcobaleno di inizio secolo ha lasciato il passo a una motivata, ma flebile, opposizione morale nel chiuso delle mura di casa. Ma la pace, come pure provano a dire i governanti, non è un lusso. E’ una necessità.