Il 25 novembre una marea rumorosa e colorata di donne ha invaso le strade di Roma di rosso e fucsia, nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, rispondendo all’appello di Non una di Meno.
Più di 500mila, hanno detto dal palco le organizzatrici.
Ma sono tante le piazze che si sono riempite in tutta Italia, contro la violenza patriarcale e per ricordare i 107 femminicidi dal primo gennaio ad oggi, affinché non ce ne siano più.
Il 25 novembre è stata una giornata storica e potente perché le donne - che l’hanno attraversata rompendo il rituale silenzio liturgico, come ha insegnato in questi giorni Elena Cecchettin - hanno trasformato il dolore e il lutto in un boato e in un desiderio di partecipazione, palpabile nelle piazze, nelle strade e nei cortei selvaggi.
Centinaia di migliaia di voci, che diventavano un eco, hanno gridato che la violenza maschile è sistemica, attraversa la sfera pubblica e quella privata e le politiche istituzionali.
Hanno urlato le contraddizioni degli ambienti che abitano e in cui vivono, le vertenze che affrontano, le riflessioni e le elaborazioni che le soggettività antipatriarcali, femministe e femminili hanno prodotto.
Violenza non è solo quella fisica, sono le battute sessiste, paternaliste, machiste ed omofobe presenti anche negli ambienti politici e sindacali di sinistra. Violenza è la comunicazione non attenta. Violenza è sovradeterminare. Violenza è “decido io al posto tuo”. Violenza è invisibilizzare e silenziare. Violenza è non poter lavorare. Violenza è avere un part time involontario. Violenza è non poter andare in pensione. Violenza è non avere il tempo per prendersi cura di sé. Violenza è non aver la libertà e/o la possibilità di interrompere una gravidanza. Violenza è non poter amare chi si desidera. Violenza sono i tagli dei fondi ai centri antiviolenza. Violenza è non condannare gli interventi militari e le guerre che sono le più alte espressioni della violenza patriarcale e colpiscono prima di tutto le donne, utilizzando lo stupro come arma. Violenza è cavalcare e sostenere l’economia di guerra.
Per questo, molte donne hanno scelto di portare nelle piazze il proprio sostegno ai/alle palestinesi non definendosi equidistanti, condannando il colonialismo, il razzismo e la violenza usata dal governo israeliano contro la Palestina e il suo popolo.
La Cgil ha attraversato tantissime manifestazioni organizzate in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne ed ha ribadito la lotta che il Quadrato rosso compie ogni giorno al loro fianco.
Gli scioperi generali, promossi da Cgil e Uil, che si stanno tenendo in questi giorni da nord a sud, intrecciano molte parole d’ordine visibili tra i cartelli e gli slogan portati il 25 novembre nelle piazze.
E allora, se è vero che indietro non si torna e che la marea non si ferma, il 25 novembre è solo l’inizio.
Per il prossimo 8 marzo facciamo come le donne islandesi, scioperiamo per dimostrare il valore indispensabile del lavoro delle donne per l’economia e la società.
Ci vogliamo vivə, liberə e autodeterminatə!