Corrispondenza dal Nicaragua - di Anika Persiani

Sono da diverso tempo in Nicaragua, un paese definito “non democratico”. Ma, pensandoci bene, che cos’è diventata la democrazia? Un sistema come quello statunitense dove, alla fine dei conti, voterà sì e no il trenta per cento dei cittadini che fanno parte di quel sogno americano, mentre quelli che fanno parte dell’incubo stanno ammassati a riscaldarsi nelle fognature delle grandi metropoli, senza un’identità, senza un nome? Oppure il nuovo sistema europeo che agli Stati Uniti tanto si ispira, e che si sta sgretolando ogni giorno di più, facendo retrofront anche su quei diritti acquisiti che si davano per scontati? La democrazia è soltanto il diritto a manifestare la propria identità sessuale o la contrarietà ai vaccini? Oppure ha davvero un senso? E, in un mondo globale come quello che abbiamo oggi davanti agli occhi, qual è l’evoluzione della democrazia?

In questo momento, in questo lembo di terra fra due oceani delineato da lagune e vulcani, si stanno costruendo altri dodicimila alloggi, che vanno a sommarsi alle decine di migliaia di case consegnate a chi non può costruirsi niente. Qua, in Nicaragua, in centro America, si parte proprio dal diritto alla casa, in base al proprio reddito, per rendere dignitosa la vita. Nessuno dorme per strada o vive nelle fogne, nessuno monta una tenda in un centro storico per dormire, come ho visto fare alla Stazione di Roma Termini, con centinaia di persone ammassate sotto i portici che hanno, oltre ai vecchi materassi, anche i fornellini da campeggio.

Dove sono finiti quei progetti dell’Italia del dopoguerra, dove gli sfollati, gli aventi diritto, venivano garantiti dallo Stato quando lo Stato era Stato, anche con un alloggio condiviso? E mi chiedo ancora: che senso ha parlare di diritto alla casa, allo studio, all’assistenza sanitaria ed alla dignità sul lavoro se non rientrano più fra le necessità considerate primarie?

Mi dicono che in Nicaragua c’è una dittatura, ma io ci vivo e vedo un paese che vive, a modo suo, forse un po’ retrò per i nostri concetti occidentali, ma vive. La gente, che lavori tutto il giorno in un campo a raccogliere frutta e verdura o che lavori come analista di sistemi, compra il necessario allo stesso modo. Nel caso del contadino, facendo fronte alle necessità primarie, cose più economiche; nel caso dell’analista di sistemi, pure l’Iphone 13. Ma la corrente elettrica non è un costo eccessivo, né per l’analista, né per il contadino, e si stanno montando pannelli solari ovunque, per il contadino e per l’analista. Il gas non serve a tanto, se non per cucinare, ma tutti possono avere una bombola, e pure un motorino. L’acqua non si paga, non esiste il concetto di Multiutility; non ci sono padroni delle strade a cui pagare un pedaggio e tutti sono liberi di passarci con la mucca, con il cavallo e con le pecore, con qualche maledizione degli automobilisti che, si sa, anche qua hanno la loro priorità di automobilisti. Le strade sono proprio belle e sicure, arrivano in ogni dove, anche nella cima più alta di un vulcano. Ci sono i trasporti, pubblici e meno pubblici, a prezzi accessibili ad ogni persona con un salario minimo ed una pensione sociale. Forse, nelle case umili, mancano i detersivi super pulenti, mancano le aspirapolveri ed i forni a microonde, mancano i Bimby, le friggitrici ad aria, i piani cottura a induzione. Ma c’è da mangiare per tutti, c’è la responsabilità sociale, familiare.

Durante il mio primo soggiorno qui, qualche annetto fa, scoprii che l’aborto è vietato e lo puoi fare solo in una clinica a pagamento, magari in Costa Rica; e sono ancora molto arrabbiata per il fatto che molte donne non possano scegliere il loro destino. Ma per queste battaglie deve esserci una cultura di base, un senso sociale che superi la tradizione.

In Nicaragua ci sono tanti quarantenni che sono cresciuti solo con il genitore Uno perché il genitore Due, donna o uomo, indistintamente, è morto durante la guerra; quella guerra che era lontana dal nostro quotidiano; quella guerra che si consumava proprio nel momento in cui, alle nostre latitudini, nelle città europee, le donne stavano con i cartelli in mano per rivendicare i loro diritti. In Nicaragua le donne avevano in mano un Ak 47, un mitra, per rivendicare il diritto di esistere, in questo lembo di terra che tocca entrambi gli oceani. Ed ogni figlio nato in Nicaragua, è un figlio in più del Nicaragua. Una benedizione in un posto dove ci sono rimasti neanche sette milioni di abitanti fra coloro che se ne sono andati e coloro che sono morti, non solo da guerriglieri, ma da civili per gli attacchi, per la mancanza di farmaci, di ospedali, per tutte le avversità intrinseche ad un conflitto civile e ad una vera e propria strage perpetrata dai Contras, addestrati a dovere dalla CIA e spediti qua a fare il loro lavoro di mercenari.

A volte si devono capire le dinamiche sociali, prima di arrivare ed imporre il nostro pensiero, credendo che sia l’unico razionale e giusto della storia. Parliamo tanto di diritto all’autodeterminazione dei popoli, ci lustriamo i vestiti prima di salire sul palco politico per ribadire il concetto del loro diritto a scegliere; e, quando questi manifestano idee diverse dalle nostre, li combattiamo aderendo a campagne mediatiche studiate chissà da chi, e poi pure provocandogli conflitti interni veri e propri, in un vortice che pure definiamo arancione. “La storia siamo noi”, ma non siamo solo noi. E “nessuno si deve sentire offeso” se chi la vive, da qua, pensa che “sia la gente che fa storia”.


Che cosa è successo dal 1936 ad oggi

Il Nicaragua è stato sottoposto, dal 1936 al 1979, ad una feroce dittatura – espressione dell’oligarchia agraria dei possidenti terrieri, sostenuta, anche militarmente, dagli Stati Uniti – che fu conseguenza di un precedente intervento americano per impedire la nascita di un governo democratico e popolare.

al 1961 al 1979 il Fronte Sandinista di Liberazione nazionale, espressione di un processo unitario della sinistra nicaraguense, portò avanti la lotta di guerriglia fino al rovesciamento della dittatura.

Gli USA armarono e organizzarono nel 1980 un esercito che tenne in stato di guerra il Nicaragua fino al 1990, quando il popolo del Nicaragua, stanco della guerra, votò per l’opposizione (legale) filo-statunitense.

Nel novembre 2006 le elezioni presidenziali furono vinte dal FSLN, dopo 16 anni di opposizione.

Negli anni successivi il Nicaragua ha corso il rischio, parallelamente al Venezuela, di una nuova guerra civile per rovesciare il governo sandinista.


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