La democrazia all’interno dell’organizzazione è materia complessa i cui tratti distintivi vanno sempre riaffermati, difesi e praticati
Lo statuto è la nostra costituzione. L’atto scritto in cui si fissano, anche attraverso una serie di regole, i principi di base che stanno alla base della scelta di adesione all’organizzazione. Potremmo dire che lo statuto è il documento in cui si determina il nostro modo di vivere ed essere all’interno dell’organizzazione, e potremmo anche dire che lo statuto, prima ancora che un insieme di norme e regole di convivenza, è il documento politico in cui si incarna la cultura di ogni membro che liberamente decide di vivere nell’organizzazione.
Nessuno è obbligato a militare nella CGIL: lo statuto ribadisce questo concetto nell’articolo 1, laddove si afferma, con frase semplice e diretta che “l’adesione alla CGIL è libera e volontaria”. In questo principio si ribadisce l’idea che non esistendo obblighi di nessun genere nell’aderire, nel diventare attivisti o dirigenti, essere parte della confederazione significa riconoscersi completamente in essa. Completamente lo stesso statuto ci spiega però non significa escludere l’articolazione di pensiero, semmai, contribuire con le proprie idee e pensieri alla crescita e alla prosperità della CGIL. Sempre nell’articolo 1, nel primo capoverso si ribadisce infatti che “la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) è un’organizzazione sindacale generale di natura programmatica, unitaria, laica, democratica, plurietnica, di donne e uomini”. Sono le parole “programmatica”, e “democratica” che evidenziano in maniera vivace tale principio.
Da quando milito nella CGIL, prima da iscritto, poi da delegato e infine da funzionario ho sempre pensato che questi principi fossero tanto semplici da definire quanto complessi da rendere concreti nella vita pratica dell’organizzazione. Infatti, leggendo ciò che ci dice lo statuto si scopre che pur essendo valori fondanti è necessario renderli concreti con una serie di regole precise: nell’articolo 4 si afferma che “… ferme restando la piena autonomia e le specifiche competenze decisionali degli organi dirigenti, hanno diritto (gli iscritti) di esprimere – anche attraverso la concertazione di iniziative, liberamente manifestate anche tramite i normali canali dell’organizzazione – posizioni collettive di minoranza e di maggioranza, alle quali possa riferirsi la formazione dei gruppi dirigenti”.
La prerogativa contenuta nell’articolo 4 diventa regola per la costituzione dei corpi dirigenti nell’articolo 6 dove tra le altre cose troviamo alcune frasi dal forte valore politico: dove si dettano i criteri per la composizione degli organi dirigenti si dice che tra gli altri bisogna garantire “la rappresentazione compiuta della complessità della CGIL, costituita dai pluralismi e dalle diversità come definiti nel presente Statuto”.
Nel caso poi di impossibilità di governo unitario dell’organizzazione, o della singola struttura, è necessaria “la definizione di regole (…); tali regole devono consentire all’eventuale opposizione di avere sedi e modalità certe di verifica e controllo dell’operato della maggioranza, nonché la strumentazione atta a garantirne l’agibilità”.
L’articolo 6 che rappresenta forse il cuore della definizione di democrazia in CGIL ribadisce le regole di costituzione dell’assemblea generale. Regola che garantisce che: “almeno un 3% di iscritte/iscritti o delegate/delegati possa presentare una lista”. Assemblea generale che deve essere costituita (articolo 15 dello statuto): “nel rispetto dei criteri di rappresentanza, genere e pluralismo previsti dall’Art. 6 dello Statuto”.
Questo complesso di norme statutarie si completa poi con le delibere regolamentari che ridefiniscono una serie di principi e le relative regole di applicazione. Le cito soltanto per completezza di informazione ma sono le delibere numero 1 titolata “Pluralismo e unità della CGIL”, la delibera numero 3 “Democrazia di Organizzazione” e la delibera numero 6 “Elezione dei segretari generali e delle segreterie”.
La democrazia all’interno dell’organizzazione è quindi materia complessa ed estremamente delicata: dispiace solo che alle volte tale complessità non sia ricordata, non tanto nelle sue regole scritte (che possono essere rilette quando necessario), ma nei tratti distintivi che tale insieme di articoli vuole riaffermare.
Uno degli argomenti politici su cui tutti quanti noi ci battiamo quotidianamente è la difesa della costituzione repubblicana, la difesa della democrazia e il diritto delle cittadine e cittadini, lavoratrici e lavoratori ad essere parte attiva delle decisioni politiche ed economiche che vengono assunte, siano esse di carattere generale sociale, che nelle singole aziende e luoghi di lavoro. A volte, però, questa argomentazione sembra disperdersi nella vita dell’organizzazione e si dimentica, strumentalmente, mi viene da pensare, che la possibilità di orientare il dibattito si realizza negli organismi statutari (segreterie e assemblee generali) e che tale possibilità si regge sulle persone che hanno il compito di condurre o affrontare tali discussioni. Quindi la necessità di articolare la composizione degli organismi sulla base dei pluralismi non è determinata dalla necessità di dare soddisfazione a gruppi di pressione o permettere la scalata a singoli dirigenti: tale necessità è determinata dall’idea di democrazia interna, elemento di ricchezza della discussione politica e di elaborazione delle idee e dei progetti, e che, come tale, deve vedere effettiva realizzazione solo attraverso la corretta composizione dei gruppi dirigenti. Il resto diventa spesso un esercizio di maniera, in cui la democrazia non è determinata dall’accesso alle agibilità statutarie, ma da concessioni che, se non consideriamo legittime nella società, tanto meno lo debbono essere all’interno della CGIL.