Diciassettesimo congresso: la Cgil al tempo della crisi - di Frida Nacinovich

Intervista ad Andrea Montagni, presidente del comitato direttivo Filcams e coordinatore di LS in categoria 

La Cgil ai tempi della crisi: chiediamo al direttore di Reds, presidente del direttivo Filcams e coordinatore nazionale di Lavoro Società in categoria, Andrea Montagni, di fare un bilancio alla vigilia di un congresso che dovrà anche delineare le prospettive del sindacato nelle prossime stagioni.
Dico subito che sarà un congresso unitario. Ma questo non vuol automaticamente dire che sarà facile. La crisi ha di fatto imposto l’agenda a tutti, anche se nel sindacato continuano a convivere differenti sensibilità. Differenze che, a ben guardare, sono una ricchezza. D’altronde la crisi aumenta le distanze: fra chi ha diritti e chi non li ha, chi ha lavoro e chi no, chi ha visto cancellata la propria professionalità e chi invece è riuscito a salvarla. Contraddizioni oggettive cui si aggiungono quelle soggettive: c’è chi ha un atteggiamento remissivo rispetto allo stato delle cose e chi invece è combattivo. Poi ci sono anche le divergenze politiche, quelle di sempre. Fondamentale quella fra sindacalismo classista e riformista. C’è chi pensa che il compito del sindacato sia quello di adattarsi alla realtà che si trova davanti, chi ha in testa un’idea di trasformazione sociale, chi pensa che la contraddizione capitale-lavoro sia irriducibile e chi ritiene che invece si possano conciliare. Chi, come me, vede nel lavoro il fondamento della società secondo un’idea socialista, e chi invece mette davanti i diritti di cittadinanza secondo un’idea borghese. La radicalità e la moderazione sono altra cosa ancora: si può essere classisti e moderati, radicali e per i diritti di cittadinanza.

Congresso unitario, ma restano alcune differenze di sensibilità, che quasi si toccano con mano.
Nella storia degli ultimi vent’anni della Cgil - in particolare a partire dal dodicesimo congresso – c’è sempre stato un serrato confronto fra ala moderata e ala radicale. Eppure la sinistra sindacale non è mai riuscita ad esprimere un’alternativa di direzione della Cgil. Anzi, alla fine si è sempre divisa. Anche se i compagni che hanno dato vita ad Alternativa sindacale prima e Lavoro società poi, hanno interpretato la spinta dell’area radicale a porsi come elemento dinamico di governo dell’organizzazione. In minoranza sì ma minoritari mai. In occasione del congresso la sinistra dell’organizzazione ha trovato l’unità presentando quattro emendamenti al documento congressuale di maggioranza “Il lavoro decide il futuro”, che caratterizzano la discussione interna: pensioni, beni comuni, contrattazione, reddito minimo. Lo schieramento che sostiene questi emendamenti va da Lavoro Società al segretario generale della Fiom, al segretario generale dell’Flc. La separazione tra voto sugli emendamenti ed elezione dei delegati nei congressi indica la volontà di fare una discussione di merito cercando di evitare un posizionamento di bandiera. Se si guarda al congresso della Cgil soltanto dal punto di vista delle dinamiche interne, il congresso si presenta decisamente bene.

Intanto fuori da Corso Italia va avanti il paradosso di un annunciato superamento della fase più acuta della crisi, cui fanno però da contraltare i terribili dati della disoccupazione, della inoccupazione giovanile e di un settore produttivo che resta molto in sofferenza.
Il governo Letta-Alfano sulla crisi racconta balle! Non si possono mai fare i conti senza l’oste. Il congresso si sviluppa in una fase complessa, di crisi acuta, di continuazione delle politiche liberiste, di disarticolazione completa del quadro politico, di sostanziale blocco della democrazia. La Cgil ha una modalità di discussione interna e di organizzazione basata sulla partecipazione e sulla delega, figlia della Costituzione repubblicana che riconosce la funzione dei sindacati. Il sindacato non ha meccanismi plebiscitari, è strutturato in modo “pesante”, si basa sugli iscritti e sulle rappresentanze. Si è indebolito perché nella crisi questa capacità di organizzazione è venuta meno. Perché i lavoratori sono più divisi, dispersi in una miriade di piccole aziende, difficilmente organizzabili. Tuttavia il sindacato esiste se c’è organizzazione, mentre la politica segue un’altra strada: quella dei gruppi di pressione, dei club, dei leader carismatici, delle dichiarazioni a effetto che prevalgono sulla sostanza dei contenuti. La strada aperta da Berlusconi oggi prosegue con Renzi.

Il sindacato resterà immune, come è successo fino ad ora, da queste derive plebiscitarie che attraversano il mondo della politica?
Anche in Cgil questa tendenza è presente. E paradossalmente trova più spazio all’interno dell’ala di sinistra che di quella moderata. Ci sono le aperture di credito di Landini su Renzi come rinnovatore, anche se vanno lette con attenzione perché nel merito sindacale Landini continua a ripetere le posizioni di tutta la Cgil (poche tipologie contrattuali, riconducibili ad effettive esigenze di organizzazione del lavoro, tempo indeterminato come rapporto di lavoro fondamentale). Sono aperture di credito figlie dell’idea che il contenuto sia secondario alla forma. Dal mio punto di vista è il tentativo di mascherare una debolezza: sono debole sul piano della contrattazione e allora cerco di nascondere questo mio limite sul piano dell’immagine. La Cgil, se vuole, ha gli antidoti democratici per contrastare questa deriva.


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