Chiedo ai lettori attenzione e comprensione. Questo articolo non parla del nostro paese e nemmeno delle nostre lotte, del lavoro e del sindacato. E’ un piccolo contributo per pagare un debito: nel 1999 il leader kurdo Abdullah Öcalan fu catturato dai turchi dopo essere stato costretto ad abbandonare il nostro paese in cui si era rifugiato dopo esser stato cacciato prima dalla Siria e poi dalla Russia. La dabbenaggine ingenua della sinistra italiana e l’ignavia del governo D’Alema contribuirono a condannarlo. In Turchia è stato condannato a morte. La pena è stata commutata in ergastolo nel 2002, allorché la Turchia ha abolito la pena di morte. Da allora è l’unico detenuto dell’isola-prigione di imrali.
Abdullah Öcalan era venuto in Europa per trovare consensi ad una proposta che mettesse fine alla guerra civile in Turchia tra kurdi e Stato, ma anche per offrire ai paesi al cui interno vivono i kurdi una soluzione pacifica al conflitto. Questa proposta che passa sotto il nome di “confederalismo democratico” non mette in discussione i confini statuali, ma chiede una riforma del sistema politico sociale e l’amicizia tra i paesi. Continua dal carcere la sua lotta.
Il KCK (Consiglio delle Comunità Curde) esprime questa opzione in tutti gli Stati che inglobano la terra kurda, Turchia, Irak, Siria e Iran. Sono i guerriglieri e le guerrigliere delle organizzazioni affiliate al KCK che in Irak e Siria hanno fermato l’offensiva dello Stato islamico, liberato le popolazioni prigioniere, sottratto alla schiavitù decine di migliaia di donne.
La NATO e la Turchia hanno imposto che i kurdi non sedessero a Ginevra alle trattative di pace per la Siria. Eppure i kurdi sono gli unici che rispettano le tregue via via concordate.
Nell’indifferenza della comunità internazionale, lo Stato turco ha approfittato del conflitto in Siria per condurre una guerra aperta in territorio turco contro le città in cui le elezioni erano state vinte dai partiti kurdi legali distruggendo città e quartieri, rapendo e stuprando. Ha esteso la guerra in Siria per impedire ai partigiani kurdi di Kobane di cacciare lo stato islamico dall’intero Kurdistan siriano.
Sostenere la lotta dei kurdi contro lo Stato islamico, appoggiare la loro richiesta di una soluzione pacifica e democratica ai conflitti civili in Siria e Turchia, è, come si sarebbe detto una volta, un dovere internazionalista.
Lasciatemi dire, alla fine, che provo rispetto per quei giovani internazionalisti italiani che oggi combattono nelle fila dei partigiani kurdi in Siria contro lo Stato islamico, accanto ad altri giovani turchi, tedeschi, spagnoli, americani, inglesi e francesi e di altri paesi.
Sono lì anche per noi. Per quanto non ce ne siamo accorti, siamo lo stesso coinvolti.