Il cortocircuito di una politica fallimentare - di Riccardo Chiari

Le 208 vittime nel Mediterraneo, nel solo mese di gennaio, dovrebbero convincere chiunque conosca le leggi del mare – quelle scritte - a rispondere senza ipocrisia a chi si sta facendo facile pubblicità, sulla pelle di uomini e donne in fuga da guerre, carestie e violenze di ogni genere. In questi primi giorni di febbraio, le traversie della nave Sea Watch, che ha salvato 47 esseri umani in un mare in tempesta, sono indicative di una pervicace volontà intimidatoria dello Stato italiano nei confronti delle organizzazioni non governative che opera(va)no nel Canale di Sicilia.

Anche la magistratura requirente catanese, non certo accondiscendente nei confronti delle ong, ha dovuto ammettere: “Non c’è alcun rilievo penale nei confronti dell’equipaggio della Sea Watch. La situazione di ‘distress’ del gommone giustificava il soccorso da parte della nave. Per due giorni nessuna motovedetta libica ha operato nell’area Sar”. Sono parole del procuratore capo Carmelo Zuccaro, che pure ha aperto (facendolo sapere urbi et orbi) l’ennesima inchiesta sulle presunte complicità tra scafisti e ong, a due anni dalla prima indagine, e senza che nel frattempo siano emersi sospetti di alcun genere. Men che mai prove.

A una Italia, e a una Unione europea, che si sono affidate alle presunte autorità libiche e alla Turchia del “sultano” Erdogan – spendendo miliardi di euro della collettività – per evitare che alcune migliaia di africani (e soprattutto due milioni di siriani, detentori per forza di cose dei requisiti per la protezione umanitaria) entrassero a far parte di un’area continentale di 500 milioni di abitanti, andrebbe ricordato in ogni dichiarazione pubblica che questa gestione politica di un fenomeno naturale come le migrazioni è destinata “naturalmente” al fallimento. Al pari della gestione non-gestione dell’altro grande fenomeno naturale dei nostri tempi, quello dei cambiamenti climatici.

Intanto la magistratura requirente – dalla procura di Agrigento il fascicolo è stato spedito a Roma per competenza – sta indagando sulla strage dei 117 migranti annegati il mese scorso nel braccio di mare che separa la Libia dall’Italia. Dalla Sicilia è arrivata la richiesta di verificare “la sussistenza dell’ipotesi di reato di omissione di soccorso da parte degli ufficiali che furono informati che un gommone stava affondando da un aereo del 41simo stormo dell’Aeronautica militare di Sigonella”, che lanciò due zattere non potendo fare di più. Non ci sono indagati, ma il passaggio dell’inchiesta nella capitale fa ipotizzare le responsabilità del Centro di coordinamento di ricerca e soccorso della Guardia costiera italiana. Di cui alcuni ufficiali sono già stati rinviati a giudizio, per la strage dell’ottobre 2013 quando annegarono 268 persone – molti erano bambini - a causa del ritardo nei soccorsi a un barcone in difficoltà.

In definitiva la prima strage del 2019 è riconducibile al mancato soccorso italiano. Invece il governo fa la guerra alle navi delle ong. Le uniche su cui sventola un’ideale bandiera con su scritto “Restiamo Umani”.


Le leggi del mare

Alle leggi non scritte di chi va per mare – si soccorre sempre chi è in difficoltà - vanno aggiunte quelle messe nero su bianco dalla comunità internazionale. Così l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) ricorda urbi et orbi che il diritto internazionale del mare (Convenzione Sar sulla ricerca e il soccorso in mare ratificata dall’Italia nel 1989; Convenzione Solas sulla salvaguardia della vita umana in mare ratificata dall’Italia nel 1980, e la Convenzione dell’Onu sul diritto del mare, ratificata nel 1994) prevede che gli Stati abbiano l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a che tutte le persone soccorse possano sbarcare nel più breve tempo possibile in un luogo sicuro.

Quanto al rifiuto di consentire lo sbarco, in particolare a persone vulnerabili (donne e bambini), per l’Asgi c’è la violazione delle norme a tutela dei diritti umani fondamentali e sulla protezione dei rifugiati, in particolare l’articolo 2 (diritto alla vita) e l’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, oltre che il principio di ‘non refoulement’ e il diritto di accedere alla procedura di asilo sanciti dalla Convenzione di Ginevra, dal diritto comunitario Ue, e dall’articolo 10 della nostra Costituzione.

Di qui la presa di posizione dell’associazione: “Ci riserviamo di supportare e promuovere ogni azione giudiziaria nelle sedi competenti per ingiungere il rispetto del diritto e sanzionare le violazioni in essere, e l’indebita strumentalizzazione della situazione di persone vulnerabili, al fine di porre in discussione le regole di ripartizione dei richiedenti asilo nell’Ue al di fuori delle sedi proprie”. Parole sante.


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