Salvini se n’è fregato anche del 25 aprile. E questo è un fatto. L’idea che il governo possa cadere per colpa del sottosegretario Siri è invece, appunto, un’idea. Magari un sogno. Anche se, alla resa dei conti, non è mai una vittoria della politica la via giudiziaria al cambiamento. Intanto le elezioni europee ed amministrative si avvicinano, e gli istituti statistici impazziscono: già non è facile rilevare in anticipo un voto di opinione come quello delle europee, se per giunta ci si mettono di mezzo anche le comunali, dove ogni municipio fa secolare storia a sé, allora diventa davvero complicato capire che cosa pensano le italiane e gli italiani.
Andiamo con ordine. Il 25 aprile è festa nazionale, che ricorda la vittoria della democrazia sul nazifascismo, dopo venti anni di dittatura e cinque di guerra, con centinaia di migliaia di morti fra soldati, partigiani, oppositori al regime fascista, civili bombardati da destra e da manca. Di tutte queste pagine di storia, il vicepresidente del Consiglio in quota Lega, semplicemente, non tiene conto. Se ne frega, non si prende neppure la briga di rispondere al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al gemello diverso pentastellato Luigi di Maio. Perfino Sergio Mattarella, capo dello Stato e custode della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza, ha fatto capire che un ministro della Repubblica, responsabile del Viminale, ha dei doveri istituzionali. Macché. L’uomo del decreto sicurezza, l’uomo del decreto legalità, per il 25 aprile è andato a Corleone ad inaugurare un commissariato. Nel tentativo, ridicolo, di far parlare di sé e non della festa della Liberazione. Per giunta lo ha fatto nei giorni del caso Siri, il sottosegretario leghista accusato di aver pattuito una tangente di trentamila euro, nelle pieghe di una delicatissima inchiesta che vede coinvolto addirittura uno dei prestanomi di Matteo Messina Denaro, numero uno di Cosa Nostra. In un paese normale la sola ombra del sospetto porterebbe alle dimissioni del sottosegretario ai trasporti, responsabile economico della Lega e teorico della flat tax con l’aliquota unica al 15%, che tanto piace a padroni e padroncini del nord e non solo. Un caso del genere non può certo essere derubricato politicamente a baruffa chiozzotte fra Lega e Cinque stelle, con questi ultimi che appena un anno fa hanno fatto il pieno di voti alle elezioni politiche al grido ‘onestà, onestà’.
La morale della brutta favola è sempre la solita: il Movimento Cinque stelle non può rompere definitivamente con l’alleato leghista, che ha da mesi in tasca il piano b. B come Berlusconi (e Meloni). Ma in queste condizioni il governo Conte è destinato a navigare a vista, e i discepoli di Beppe Grillo condannati a veder erodere, punto dopo punto, il loro consenso elettorale. Al dunque il caso di Armando Siri rischia paradossalmente di essere l’ennesima arma politica nelle mani di quello che i suoi numerosi fan chiamano il Capitano. Sarà lui a decidere quanto tirare la corda, tenendo saldamente in mano il pallino del gioco. Mentre il sorriso di Luigi Di Maio, giorno dopo giorno, appare sempre più il ghigno di chi ha in mano una coppia di dieci e però non può abbandonare il tavolo. In questo contesto, il Partito democratico del nuovo segretario Zingaretti, gioca a sua volta una partita quantomeno stramba. Il dichiarato obiettivo dell’ex partitone tricolore è quello di prendere alle europee almeno un voto in più dei Cinque stelle. E la competizione continentale è molto più favorevole al Pd, che fa parte del Partito socialista e democratico europeo, che ai grillini, che fanno parte del non meglio identificato Efdd (acronimo per Europa della libertà e della democrazia diretta). Un gruppo che conta, tanto per fare qualche numero, su un solo europarlamentare francese ex del Fronte nazionale di Marine Le Pen, e su un solo europarlamentare tedesco.
Per giunta, i Cinque stelle avrebbero voluto lasciar gli euroscettici e populisti di destra dell’Efdd per entrare nell’Alde, l’alleanza dei democratici e dei liberali, ma questi ultimi sono fortemente europeisti. Orrore. Questa situazione fa capire bene come al Pd piaccia vincere facile. Almeno nei confronti dei Cinque stelle. Perché di mettere in discussione lo scenario economico e sociale che ha portato, secondo i sondaggi, la Lega al 30-33%, non se ne parla nemmeno. Come dice il vecchio proverbio, ‘se uno il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare’. Fra gli osservatori e gli analisti delle vicende politiche italiane, molti scommettono che dopo le europee (e le amministrative) si arriverà al redde rationem, con la crisi di governo e un nuovo esecutivo di destra-destra. Basta però sentire i grillini duri e puri, per capire che mai e poi mai i Cinque stelle abbandoneranno l’attuale alleato, “perché altrimenti torna Berlusconi”.
E lo stesso Salvini, che ha in mano un tris d’assi, di tutto ha bisogno fuorché dell’ultimo, sbertucciato asso di picche rappresentato dal vecchio e malandato Cavaliere. Come diceva quel tale di Treviri, la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa.