Alla triennale di Brera 1891 “L’oratore dello sciopero” di Longoni
Il 1° maggio 1890 i movimenti socialisti annunciano un grande sciopero nazionale, il primo indetto in quella giornata che verrà poi ufficializzata a Parigi nel 1898 dalla Seconda Internazionale come festa dei lavoratori. La partecipazione è altissima in tutta Italia, in particolare nelle città più industrializzate come Milano dove la modernizzazione e l’industrializzazione hanno portato allo svuotamento delle campagne verso la città e alla nascita delle periferie. All’evento di quel giorno assiste e partecipa anche Emilio Longoni, studente dell’Accademia di Brera, che ne ritrae schizzi dal vero dai quali nascerà un’opera inizialmente intitolata “1 maggio” e conosciuta oggi come “L’oratore dello sciopero”. Un dipinto con il quale Longoni sembra farsi portavoce della lotta operai da lui sostenuta e che alla Triennale di Brera del 1891, quando venne presentata, fece scalpore suscitando ampi consensi e aspre critiche.
In primo piano un oratore improvvisato è arrampicato sull’impalcatura di un edificio in costruzione riconoscibile dal lanternino rosso che anche allora ne segnalava la presenza. E’ un uomo dalle spalle curve, gli abiti sgualciti e il volto solcato, la cui forza sembra concentrarsi in quel pugno alzato ad incitare la folla in strada che risponde con fischi, grida e altrettante mani alzate ad appoggiare le parole del compagno. In secondo piano le forze dell’ordine caricano i manifestanti in una Milano riconoscibile dai campanili delle chiese sullo sfondo, al di là degli alti palazzi della piazza. Ad essere rappresentato da Longoni non è solo il cambiamento urbanistico della fine dell’Ottocento con i nuovi edifici e i mezzi di trasporto, ma anche quello sociale che aveva portato i lavoratori a lottare per i propri diritti e per una vita migliore. In questo senso l’opera può e deve essere considerata manifesto di quella vocazione sociale di una parte della pittura italiana di fine secolo che troverà la propria apoteosi ne “Il Quarto Stato” di Pellizza Da Volpedo del 1901. Longoni non è infatti l’unico a rivolgere la propria attenzione ai contrasti della nuova società, ai suoi cambiamenti e soprattutto ai suoi vinti. Insieme a lui anche Gaetano Previati, Giovanni Segantini, Angelo Morbelli e lo stesso Da Volpedo, superando i sentimentalismi e il patetismo della pittura di genere, portano nell’arte italiana una nuova tecnica e nuovi soggetti. Ed ecco allora che per la prima volta ad essere rappresentata non è la borghesia cittadina, per la quale tra l’altro Longoni lavorò per moltissimi anni eseguendo ritratti e natura morte su commissione, ma l’umile visto e ritratto sotto una lente obiettiva.
E’ questo giovane gruppo di studenti a sancire nel 1891 con la Triennale di Brera, durante la quale “L’oratore dello sciopero” fu presentato al pubblico, la nascita del Divisionisimo italiano. Un nuovo modo di dipingere ispirato al Pointillisme francese di Seurat che in Italia trova proprio in quel gruppo di accademici milanesi una nuova struttura e vocazione: non più fine ultimo dell’opera, ma mezzo stesso per esprimere il messaggio. Superata la tradizionale stesura della pittura, tra i filamenti e i tratteggi di colore emerge un’energia tutta nuova dell’arte e della società italiana. La forza concentrata in quell’uomo in bilico dal pugno alzato sembra dipanarsi per tutta la tela attraverso la luce e il colore, la tela vibra e l’ondata di protesta appare più concreta che mai nei gesti e nei volti del protagonista e di tutti coloro che lo seguono.
E’ passato più di un secolo da quel 1° maggio eppure l’opera di Longoni risulta oggi più contemporanea che mai. “L’oratore” del Longoni, e il successivo “Riflessioni di un affamato”, mettono di fronte agli occhi dello spettatore l’indifferenza delle classi agiate rispetto a chi vive ai margini e denuncia la forte ineguaglianza di cui lo sfrenato sviluppo dei tempi moderni è responsabile. Le piazze tornano oggi ad essere luoghi di protesta e di rivendicazione mentre la città si trasforma sotto la spinta di una società iper-capitalista che proprio nella fine dell’Ottocento ha le sue radici. Si scende di nuovo in piazza per rivendicare diritti che sembravano ormai certi e per gridare a gran voce quelli degli ultimi, degli umili ai quali per primo il Divisionismo italiano aveva dedicato attenzione.