I delegati? Vanno conquistati alla prospettiva del cambio di società - di Federico Antonelli

Perché non basta coltivarne e rafforzarne le qualità…

Ogni volta che mi confronto con nuovi delegati, giovani o meno giovani, scopro che esiste un modo diverso, e a volte personale, di rapportarsi con la CGIL e con l’attività sindacale. Spesso questi lavoratori esprimono un bisogno del momento, un disagio che deriva da fatti contingenti con i quali la loro vita lavorativa deve fare i conti. Che sia una procedura di legge, un evento particolare su cui è necessario approfondire la conoscenza o infine la voglia di migliorare la propria situazione professionale e aziendale ognuno interpreta il ruolo e lo motiva con idee diverse.

C’è chi ha una visione utilitaristica dell’attività sindacale. Chi lo considera il soggetto sociale che lo rappresenta e a cui rivolgersi. Chi ci si rapporta perché il proprio padre o la propria madre ne erano parte e militanti. Ognuno esprime una diversa modalità. Quasi sempre, in questo momento storico, il rapporto con il sindacato non nasce in un contesto ideologico preciso; i lavoratori di oggi non sono cresciuti con gli schemi culturali che insegnavano il valore delle ideologie, e sono privi di alcuni degli strumenti politici, necessari, per elaborare un senso di appartenenza di classe consapevole.

Questo non significa che la loro adesione sia meno ricca di elementi valoriali chiari e riconoscibili.

Solidarietà. Uguaglianza. Redistribuzione del reddito. Miglioramento della propria professionalità con l’obiettivo di crescere come lavoratori e persone. Lotta al libero arbitrio del datore di lavoro e ricerca del valore condiviso delle pari opportunità, di genere ma non soltanto.

Ma una cosa distingue nettamente questa nostra generazione di lavoratori e delegati da chi ci ha preceduto: la mancanza di una visione prospettica dell’attività sindacale nel quadro della società in generale. Manca il valore del percorso storico che la coscienza di classe dovrebbe imporre. Esiste quindi una sostanziale accettazione del capitalismo, inteso e coniugato diversamente da come lo stesso sistema domina e prospera: un capitalismo che produce solo ricchezza e non anche sfruttamento.

Idea ingenua? Certo, non può esistere capitalismo senza sfruttamento e la coscienza di classe non può vivere senza questa consapevolezza. Ma è una idea che comunque non impedisce alle persone di muoversi verso la nostra organizzazione e che le spinge ad agire e lottare per il lavoro e i diritti.

Un’idea senza ideologia allora si coniuga in idealità. L’idealità che supera il limite del consumo, della scelta parassitaria della fedeltà al capo e mette in gioco la propria energia vitale. Crediamo che esista tanta differenza con chi ha militato prima di noi? No, se non in un solo elemento. Che il sindacato viene considerato un soggetto a se stante, che non ha attinenza con l’insieme delle scelte personali e politiche. Che il sindacato sia un soggetto che fa politica sindacale e che resti distante dalla vita politica e partitica. E quando lo fa non è la parte di attività che interessa.

Ma la forza del movimento sindacale è stata anche nel suo progetto di società diversa, equa e non rivolta solo alla produzione del capitale. Se oggi non si riesce a trasmettere questa idea è perché nel sindacato stesso questo concetto si è molto affievolito. L’idea che si possa cambiare il mondo si è allontanata dalla pratica e oramai nessuna proposta, concreta e coerente, in tal senso viene studiata. Manca una elaborazione diversa dalla semplice idea riformatrice di un capitalismo umano. E questo riduce la capacità progettuale di tutto il movimento dei lavoratori; su questo non si formano più le giovani generazioni a cui non viene offerta nessuna idea diversa da quella dominante. Ed è forse anche su questo che sono venuti meno i grandi partiti laburisti degli anni settanta e ottanta. Un vuoto che l’ultima tornata elettorale ha chiarito in maniera inequivocabile.

Oggi la nostra CGIL resta un baluardo strenuo e ammirevole contro i danni del liberismo spinto. Ma se le nuove generazioni vivono di idealità il nostro ruolo resterà forte e vitale solo se sapremo offrire e discutere assieme a loro anche una prospettiva più ampia e profonda di società. Quindi un sindacato che sappia ascoltare e interpretare i nuovi linguaggi, accogliere i lavoratori contemporanei, ma a cui sappia offrire una elaborazione di coscienza di classe e progetto di società, diversi da quelli del passato, ma non per questo identici a tutti quelli del presente.


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