Un sindacalista riflette ad alta voce sul risultato elettorale
Il Segretario della Cgil Maurizio Landini sollecitato in un dibattito televisivo sul voto alla Lega degli iscritti alla Cgil e non e non ai partiti della sinistra, se ne è uscito con una lapidaria battuta: “Sarà un problema loro...”.
L’affermazione è senza dubbio efficace, poiché rimarca la maggiore capacità del Sindacato di essere riferimento organizzato del mondo del lavoro a fronte di forze come il PD che trovano ormai il proprio consenso più nei quartieri borghesi delle città e nel ceto medio riflessivo che tra i lavoratori e nelle periferie e di una Sinistra di fatto inesistente,
Efficace e purtuttavia elusiva perché pospone la domanda ineludibile della rappresentanza politica del lavoro e dei suoi rapporti con un sindacato generale come la CGIL.
L’analisi dei flussi e il voto degli iscritti ai Sindacati ed alla Cgil in particolar modo, rispetto al corpo elettorale nel suo complesso, sia alle politiche del 4 marzo che alle recenti elezioni europee ci dicono che gli iscritti al sindacato votano il doppio della media per forze come PD, la Sinistra e i Verdi e quasi la metà rispetto alla percentuale complessiva dei voti della Lega, e che dal 4 marzo ad oggi abbiamo sì avuto un travaso dal M5Stelle alla Lega, ma la loro somma percentuale è diminuita rispetto al voto del 4 marzo.
La Sinistra e i Verdi prendono più del 4% ciascuno tra gli iscritti della Cgil ed il Pd è ampiamente sopra il 40% con un tasso di astensionismo alto anche tra gli iscritti, ben il 37%, ma assai inferiore rispetto alla media nazionale.
I dati ci dicono che a fronte di una media nazionale dell’1,7 alla Sinistra gli iscritti alla Cgil l’hanno votata al 4,8%, a fronte del 22,7% al Pd ben il 44,8%, il 18,5% ha votato Lega a fronte di un dato nazionale del 34,3% ed una percentuale maggiore della media nazionale ha votato M5Stelle, ovvero 19,9% a fronte del 17,1%, Fratelli d’Italia e Forza Italia ricevono rispettivamente lo 0, 4 e l’1,5% dei voti.
Tra gli iscritti alla Cgil i voti di un ricompattato Centrodestra risulterebbero quindi il 20,4% a fronte del 36,8% complessivo tra gli iscritti al sindacalismo confederale, e al 49,6% del corpo elettorale.
Essere iscritti alla Cgil, pur senza approfondire tipologia di iscrizione, classe di età e collocazione geografica, fa la differenza rispetto all’espressione politica. Non è quindi del tutta vera la vulgata della subalternità valoriale di gran parte degli iscritti alla Cgil nei confronti della destra che si tradurrebbe anche nell’espressione del voto.
In realtà i punti di discussione politica sono due: il giudizio sul PD, ovvero se sia possibile una sua riconquista alle ragioni del lavoro, così come è stato riconquistato il Labour dopo la stagione blaeriana e se sia possibile affidare ad un cambiamento di Governo raggiungibile nei tempi brevi incentrato sul Pd, definibile come perno di uno schieramento progressista, la traduzione delle iniziative sul piano sindacale della nostra Organizzazione e più complessivamente del sindacalismo confederale, .sospingendo più di quanto non sia già il M5Stelle ed il suo elettorato nelle braccia della Lega cementando un blocco sociale reazionario; oppure se debba valere il principio dell’analisi differenziata e dell’articolazione tattica del contrasto delle politiche governative, che non dovrebbe basarsi sulla critica della Commissione Europea a quello che c’è su quota 100 e su reddito di cittadinanza (e questo vale anche per la discussione sul salario minimo), ma su quello che manca, per non schiacciare l’iniziativa sindacale sulle critiche da destra sul piano economico e sociale, che gran parte del Pd sta facendo nei confronti delle misure del Governo.
Ma l’interrogativo a questo proposito è quale sia la natura del Pd, quali politiche attualmente stia perseguendo nella sua opposizione al Governo in carica e soprattutto come e soprattutto se sarà in grado di recuperare la frattura e l’odio che le classi popolari e gran parte del mondo del lavoro provano nei suoi confronti per le politiche di attacco al lavoro fatte quando era al Governo.
Perché le questioni valoriali, se non si traducono in scelte politiche e programmatiche coerenti, lungi da spostare in senso progressivo le classi popolari ottengono giusto l’effetto contrario.
Lo stesso voto alla Lega e a Fratelli d’Italia non va letto come un voto consolidato di marca integralmente ed irreversibilmente fascista e razzista: se così fosse saremmo di fronte ad una situazione sociopolitica ancor più tragica della presa del potere per via elettorale di Hitler, che ottenne negli anni Trenta più o meno gli stessi voti di quanto i sondaggi attribuiscano alla Lega per le politiche.
Il popolo ha votato a destra ma non è ancora tutto ideologicamente di destra: lo diverrà tuttavia se l’unica alternativa che la politica gli offrirà a fronte della destra sociale sarà una sinistra liberal-liberista o socialdemocratica debole e non radicale.
Il mondo del lavoro ha fatto seppur in maniera minore lo stesso, ma l’essere iscritto e partecipare alla vita ed alle iniziative del sindacato fanno in positivo la differenza.
Ci supporta in questa riflessione, una ricerca di Niccolò Bertuzzo ed altri [Popolo chi, classi popolari, periferie e politica in Italia] nella quale viene mostrata la natura ambivalente del voto, o meglio l’ambivalenza dei bisogni sottesi, e il carattere volatile delle scelte elettorali non ancora saldate in un sistema definitivo e coerente di valori ed atteggiamenti di destra.
Il Sindacato di strada e la contrattazione inclusiva, cambiando la stessa natura della Cgil, la avvicineranno ancor più ad un frantumato ed abbandonato mondo del lavoro, consegnandoci ad un livello più favorevole l’ineludibile tema della rappresentanza politica del lavoro e di futuri Governi e schieramenti, pur nella rispettiva autonomia, che facciano del Lavoro l’asse portante della loro iniziativa.