L’incertezza quasi esistenziale provocata dalla pandemia si riflette anche sul referendum costituzionale. La (contro)riforma fortemente voluta dal M5s, con la riduzione di deputati e senatori da 945 a 600, votata all’epoca da quasi tutto (il 97%) un Parlamento impaurito dalle martellanti campagne mediatiche contro la “casta”, sembra diventata un tema secondario per gran parte delle italiane e degli italiani. Ben più interessati ai test sierologici e ai tamponi, ai vaccini contro l’influenza “comune”, ai problemi legati al ritorno a scuola degli under 20, e a una vita lavorativa rivoluzionata dal coronavirus. Quasi impossibile dar loro torto.
Risultato: secondo un sondaggio elaborato nell’ultima settimana di agosto, più del 40% degli elettori non sa ancora che posizione prendere sul referendum. Mentre fra quelli che sono arrivati a una conclusione, il 42% ha anticipato che andrà a votare per il “Sì”, e il 15,8% per il “No”. Ma il dato più sorprendente è quello legato alla diminuzione del numero dei favorevoli alla (contro)riforma), calati di circa 10 punti percentuali negli ultimi mesi.
Il merito di questo salutare ripensamento non è solo delle forze della sinistra diffusa che fin dall’inizio si stanno battendo, con argomenti inoppugnabili, per il “No”. Tra queste comunque una citazione d’obbligo va all’Anpi e all’Arci, alla sinistra Cgil di Lavoro Società, a tutto quello che si colloca alla sinistra del Pd, Sinistra Italiana e Rifondazione in primis. Ma ci sono anche i ragazzi delle Sardine, una gran numero di giuristi e intellettuali, e a ben vedere la stessa Cgil che non farà campagna a favore del taglio della rappresentanza democratica in Parlamento.
Così anche la “Repubblica”, per bocca del suo direttore Maurizio Molinari, ha abbracciato la causa del “No”, allineandosi alla impeccabile campagna del “manifesto” che, fin dal primo giorno, si è è schierato in tal senso, denunciando la demagogia spicciola e il populismo d’accatto che avevano mosso i pentastellati a promuovere il taglio dei parlamentari. E’ andata a finire che anche nel Pd, dietro gli apripista Gianni Cuperlo, Tommaso Nannicini, Matteo Orfini, Gianni Pittella, Giorgio Gori e i “Democratici per il No”, si è aperta una discussione i cui esiti potrebbero portare a incrementare il numero dei contrari. Infine non vanno certo dimenticate le forze di destra, che per dare un colpo di maglio al M5s si stanno anch’esse posizionando, tatticamente, per il “No”. Silvio Berlusconi lo ha detto anche pubblicamente, mentre i suoi alleati Salvini e Meloni lavorano sottotraccia.