Tra crisi del settore turistico e riorganizzazione della rete distributiva
Usciamo da un’estate particolarmente torrida per il gran caldo, mentre le città sono semivuote e deserte e i giardini pubblici - che erano anche un luogo di socialità di convivialità dei cittadini - sono diventati un deposito di fogliame secco… sembra un set cinematografico futuristico, mentre questa purtroppo è la realtà di questi ultimi mesi dall’inizio della pandemia Covid-19.
La preoccupazione più evidente riguarda, nel nostro caso, il futuro prossimo dell’area metropolitana romana e del tessuto produttivo, a proposito della continuità occupazionale e di reddito per tutti i lavoratori.
Roma è una città d’arte, come tante altre in Italia: l’assenza dei suoi 10 milioni di turisti lascia una profonda ferita ed una forte incertezza per le migliaia di lavoratori e lavoratrici occupati in questo comparto, ossia un settore fermo dal mese di marzo, con lavoratori in cassa integrazione; ma il tema centrale è rappresentato dall’assenza di una forte incertezza del prossimo futuro.
Ormai, già sembra retorica, per quanto si dica comunemente “che ne usciremo cambiati”, il dato consolidato è che l’emergenza sanitaria Covid-19 si trasformerà in una crisi economica con annessa emergenza occupazionale e la perdita di migliaia di posti di lavoro.
Il punto centrale è la tenuta occupazionale di un settore già fragile e sottopagato con aree di lavoro nero, dove la maggioranza dei lavoratori sono assunti con contratti part-time involontari di 10 /20 ore settimanali; e i numeri delle procedure di cassa integrazione pervenuteci nei mesi scorsi da bar, ristoranti ed hotel confermano tale dato come strutturale e tipico del settore di una città come Roma, a prevalenza turistica.
Mentre da una parte ci sono interi settori che sono in sofferenza oppure fermi, dall’altra si riscontra il dato di settori e-commerce alimentari (aziende di piccola e media grandezza) che, in questi mesi di lockdown, hanno vissuto un aumento addirittura del 700-800% delle vendite, trovandosi completamente impreparati, in termini di organizzazione lavorativa e di personale, nel dare una risposta congrua alle richieste; e sono stati sempre i lavoratori il perno centrale per sostenere questa attività. I quali, se è vero che non hanno vissuto problematiche di continuità di reddito, hanno però purtroppo vissuto notevoli disagi per il troppo carico di lavoro oltre ogni previsione, costretti a subire turnazioni notturne, festive e domenicali con ore di straordinario oltre ogni limite, rinunciando anche a riposi, e risultando di fatto stremati. Per la gestione di tale fenomeno siamo arrivati alle dichiarazioni di stato di agitazione per invertire la tendenza delle imprese ad inseguire il solo fatturato, al fine di ritrovare un equilibrio dignitoso per i lavoratori nonché il rispetto delle norme sanitarie imposte dall’emergenza.
Quel settore, si diceva, registra profitti elevati ma non offre generalmente una struttura aziendale tale da mostrare le capacità di gestire le risorse e l’organizzazione lavorativa; tutto a discapito di un bacino di lavoratori molto fragili, perché viene utilizzata molta forza-lavoro interinale, oppure con contratti a tempo determinato, quindi ad alta intensità di precariato.
Questa circostanza ci pone due temi di riflessione.
I dati oggettivi permettono di riscontrare che le abitudini del “consumatore”, anche se incentivate dal periodo di emergenza sanitaria, stanno comunque cambiando, poiché l’acquisto on-line in termini di percentuale aumenterà anche in futuro, per una serie di fattori anche di marketing, primo fra tutti la consegna a domicilio. Dobbiamo avere la consapevolezza che tale modalità può cambiare radicalmente la nostra rete distributiva, con un forte impatto sull’economia tradizionale, con i punti vendita di prossimità che andranno in sofferenza e il mercato del lavoro espellerà migliaia di lavoratori.
Il secondo tema riguarda le migliaia di lavoratori occupati nella vendita on-line, quel proletariato marginalizzato che ha bisogno di diritti consolidati e adeguati al nuovo processo produttivo, anche con l’adeguamento dei CCNL di riferimento che ad oggi ancora non risultano sufficienti.
Come organizzazione sindacale dobbiamo arrivare preparati per essere soggetto di massa e di riferimento, dobbiamo continuare ad essere lo strumento a disposizione dei lavoratori, composto da una cultura collettiva capace di rispondere all’individualismo oltre che all’autosufficienza; si tratta di due aspetti che attengono alla cultura contemporanea, dominante nei luoghi di lavoro, che oggi purtroppo prevarica ogni forma di aggregazione collettiva. Dovremo essere dunque in grado di gestire la riconversione economica che di fatto è già in essere.
Ci aspetteranno mesi davvero difficili sia per i lavoratori che per la forza sindacale, che dovrà essere protagonista del cambiamento e soggetto riconoscibile, con le proprie istanze programmatiche tali da consolidare e rafforzare la propria rappresentanza: per contrastare tutti i limiti che l’economia neoliberista ci ha consegnato ed avviare un radicale cambiamento verso un modello economico fondato sul lavoro e il diritto collettivo.