La ripresa di settembre, dopo una pausa estiva più breve e certamente meno allegra degli anni scorsi, ci pone diversi temi. Come la pandemia si evolverà nelle prossime settimane? La scuola come ripartirà? La situazione economica migliorerà? L’impegno per il “no” al referendum sul taglio dei parlamentari ci deve vedere tutti coinvolti.
La stagione sindacale inizia con la preoccupazione per i posti di lavoro, con il protrarsi della cassa integrazione, unico argine alla situazione presente e infine allo stallo che si continua a osservare nei rinnovi dei contratti nazionali. Se il capitalismo si nutre di crisi, questa, nella nostra realtà italiana, sembra fatta apposta per indebolire la contrattazione nazionale. Se la Confindustria ha tentato di aprire un fronte teso alla riforma della struttura dei contratti, le forze di governo non sembrano così sensibili al grido di allarme dei sindacati e i lavoratori restano senza rinnovi e aumenti salariali da troppo tempo.
Per affrontare la crisi in maniera strutturata è indispensabile affrontare anche le politiche salariali. Ripresa economica e capacità di consumo vanno di pari passo. Se si vuole fare una operazione di rilancio del paese è necessario rafforzare la capacità di spesa della classe lavoratrice. Insieme agli sgravi per le assunzioni, le risorse per gli ammortizzatori sociali e il blocco dei licenziamenti, il governo deve chiamare a responsabilità una classe imprenditoriale capace di chiedere senza restituire.
E in questo quadro complesso non saranno gli sconti fiscali a risolvere il tema dei contratti, ma un’orchestrata e rinnovata politica rivendicativa che riporti i lavoratori nelle piazze, pur con tutte le precauzioni e i distanziamenti sociali indispensabili.