La massima recita: patti chiari, amicizia lunga. E i patti dicono che la Lega di Matteo Salvini vuole, fortissimamente vuole l’autonomia differenziata; la sorella d’Italia Giorgia Meloni il “premierato”, e gli eredi del Cavaliere la separazione delle carriere dei magistrati, unico desiderio non soddisfatto di re Silvio. Comunque c’è sempre un però, visto che l’autonomia differenziata è stata (correttamente) tradotta dalle regioni del Meridione come una secessione dei ricchi, né più né meno. Così diventa comprensibile la valanga di firme che fin dal suo apparire sta accompagnando la richiesta di referendum abrogativo messa subito in cantiere dalle opposizioni di centro e di sinistra.
C’è dell’altro. Il governatore calabrese Roberto Occhiuto, che è anche vicesegretario di Forza Italia, ha fatto sapere a chiare lettere che a lui l’autonomia differenziata non piace né poco né punto. Non è difficile capirlo, sia perché la regione che amministra pagherebbe un prezzo salatissimo ai desiderata dei diletti figli del dio Po, sia perché il nuovo corso del partito berlusconiano senza Berlusconi si regge su un elettorato che è rimasto fedele soprattutto nel sud della penisola.
Con queste premesse, l’intervento-avvertimento del vicepremier Antonio Tajani in Consiglio dei ministri (“Ogni riforma deve essere applicata bene e nell’interesse generale di tutti i cittadini”) va tenuto in debito conto. D’accordo, pensare che Forza Italia, di cui Tajani è segretario, arrivi a mettere in discussione un matrimonio, quello con Fdi e Lega, che dura da trent’anni, appare oggi un’utopia. Ma a ben vedere la secessione delle ricche regioni del nord - Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria hanno già fatto pressione al governo per ottenerla al più presto - può colpire nel profondo anche l’elettorato di Fratelli d’Italia. E questo Giorgia Meloni lo sa bene, soprattutto in caso di un più che probabile referendum popolare.