Il malessere esistenziale individuale e la società che si ammala
Quando ci si chiede quanto tempo della propria vita è dedicata al lavoro, o alla ricerca di un lavoro, o ancora alla ricerca di un lavoro migliore che permette di migliorare le proprie condizioni, si aprono gli scenari più disparati, che girano sempre intorno a uno stesso modello: un sistema socio-lavorativo totalitario che ri-modella i sistemi sociali con l’imposizione dell’obiettivo della massimizzazione dei profitti a favore di quel 1% della popolazione monopolista, e con appena una piccola parte di essi redistribuiti al resto della popolazione globale. Da ciò scaturisce un dato di fatto: una vita individuale e sociale difficoltosa, quando non affannosa, e di pessima qualità, per rincorrere quelle poche risorse per la sopravvivenza.
Fondamentale a questo sistema è una svalutazione sempre maggiore del valore umano che ha portato alla mercificazione dell’uomo stesso, percepita ormai sempre più fortemente dalle lavoratrici e dai lavoratori, i quali vivono appunto la sensazione di essere diventati “numeri” o “ingranaggi” del sistema, dove la propria vita lavorativa e privata “deve” essere sacrificabile.
Da qui la nascita di un malessere individuale che sfocia in una solitudine esistenziale il cui passo successivo è spesso il ricorso all’uso di psicofarmaci, alcol, gioco di azzardo e droghe, shopping compulsivo, ecc.
Ovviamente questa società, modellata dai sistemi di forte competitività in tutti gli stadi, parte dai luoghi di lavoro ma si diffonde ovunque: tra generazioni all’interno di una stessa famiglia, nelle comunità, nelle città, nelle relazioni internazionali ecc.
Sistemi che prevedono dei concetti cardine come ad esempio: il “tutti contro tutti”, la “sopraffazione dell’uno contro l’altro”, lo “sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, al fine di concentrare, come suddetto, il potere economico nelle mani di pochi.
Uno stadio di povertà globale concepita come normalità, un’assurdità divenuta ormai realtà.
Un adattamento avvenuto nel corso degli anni, non per caso, ma seguendo un disegno economico neoliberista e globalizzato ben preciso.
L’illusione della libertà e del materialismo di massa, funzionali a tale sistema, ha permesso di cancellare pilastri importanti di una società che funzionava per tutti e non solo per pochi, come ad esempio: la cultura, i valori e le tradizioni che si tramandano da generazione in generazione, e innanzitutto i diritti conquistati attraverso lunghe e durissime lotte.
Altro pilastro della società neoliberista è la semplificazione del valore economico come unico rifeimento tra ciò che è utile o inutile. Diventano “inutili” quindi il diritto alla salute, alla cultura, alla sicurezza sul lavoro e alle tutele lavorative…
Uno dei principali compiti del sindacato è quello di adoperarsi per un cambiamento radicale di questo modello socio-economico in cui la centralità di tutte le azioni viene focalizzata sull’uomo invece che sul denaro, scacciando lo spettro della rassegnazione all’irreversibilità di questo sistema e della convinzione comune che non esiste un’alternativa ad esso.
Prima di tutto occorre intervenire sulla politica, che oggi ha un ruolo marginale, quando non ne è complice o subalterna a tale sistema.
Lo sforzo da fare è quello di una maggiore sensibilizzazione della classe politica, con radici di sinistra, al fine di attuare quelle riforme sociali capaci di soddisfare il maggior numero possibile di quelle necessità essenziali per una vita umana dignitosa e stabile.
E’ solo credendo e agendo in tal senso che possiamo immaginare e costruire una società futura per le prossime generazioni più equa e più sana.