Il valore reale dei salari, perso in decenni (1) - A cura della redazione di “Reds”

La scala mobile un pilastro abbattuto

Dalla seconda metà degli anni ’80 anche dopo gli accordi sindacali del 1992 e del 1993, i salari dei lavoratori sono costantemente diminuiti come valore reale, in controtendenza con qualsiasi altro paese europeo.

Ma per capire gli anni 80 e 90 sul piano sindacale ed economico occorre risalire al salto della teoria politica e sindacale inaugurata nel 1978 con l’Assemblea nazionale dei Consigli generali e dei delegati di CGIL CISL UIL al palazzo dei congressi dell’Eur.

L’inizio di un ripensamento sul ruolo del sindacato nella società, meno rivendicativo e più “concertativo” e responsabile verso gli “interessi generali” del paese. Un cambiamento difficile e contraddittorio con la storia di un sindacato come la CGIL: le Organizzazioni sindacali confederali divengono più flessibili nei confronti delle richieste del padronato di moderazione salariale, sulle ristrutturazioni aziendali e sull’accettazione del ricorso ai licenziamenti, per affrontare la crisi.

La svolta dell’Eur fu contrastata ufficialmente con il voto contrario nella Segreteria nazionale di Elio Giovannini. Si palesò così una prima rottura a sinistra con la formalizzazione di una sinistra sindacale, la cosiddetta Terza componente, erede della corrente del disciolto Partito socialista di unità proletaria. Differenziazione destinata a rientrare nel decennio successivo,

La scala mobile, perfezionata il 19 gennaio del 1946 con l’accordo firmato da Confindustria e dalla CGIL di Di Vittorio, allora unico sindacato, e ratificata il 25 maggio dello stesso anno, era inizialmente un meccanismo imperfetto: un’indennità variabile secondo l’anzianità e il sesso, essenziale e pensata per difendere i salari dei lavoratori dalla crescita dei prezzi e dalla forte inflazione del dopoguerra.

Il punto unico di contingenza e il “Paniere” di riferimento contenente i beni di consumo di larga diffusione per la misurazione dell’andamento dei prezzi, venne negoziato nel 1975 tra sindacati confederali e Confindustria.

Il primo accordo di manomissione della scala mobile fu firmato nel gennaio 1983. L’accordo, il “protocollo Scotti” di 14 punti, aveva l’obiettivo dichiarato di ridurre l’alta inflazione al 13% causata della seconda crisi energetica e, tra l’altro, conteneva l’impegno del sindacato a sospendere la contrattazione integrativa, e di Confindustria a sbloccare il rinnovo dei contratti nazionali. Il punto 7 conteneva la riduzione del 15% della scala mobile, stabilendo a 6.800 lire il nuovo punto di contingenza per il settore pubblico e per quello privato.

Con il famoso decreto di San Valentino del 14 febbraio del 1984, il Parlamento approva il taglio di 4 punti della scala mobile. Quel decreto determinò la spaccatura politica tra il PCI e il PSI e la divisione del sindacato confederale per l’adesione, favorevole al taglio, di CISL e UIL e dei socialisti della CGIL.

Il 24 marzo i comunisti e la sinistra sindacale della CGIL, insieme a molti Consigli di fabbrica sotto la spinta dei delegati autoconvocati, indissero contro il taglio della scala mobile un’enorme manifestazione a Roma. In piazza S. Giovanni si ritrovarono oltre mezzo milione di persone, di lavoratrici e lavoratori.

Contro il taglio della scala mobile e la legge, il PCI propose un referendum abrogativo.

Il 9 e 10 giugno 1985 si votò per il mantenimento o l’abolizione della legge 219. Lo scontro nel paese portò a un’affluenza del 78% degli aventi diritto; risultato: 45,7% di Si e 54,3% di No all’abrogazione. L’Italia dei commercianti, della borghesia, delle associazioni padronali, delle corporazioni, degli interessi finanziari, con i suoi potenti mezzi di comunicazione, i detrattori della scala mobile vinsero lo scontro segnando la svolta antisindacale e antioperaia del paese. A febbraio del 1991 avvenne lo scioglimento del PCI con l’avvio della costituzione del nuovo partito, il PDS.

La definitiva abolizione fu sancita dall’accordo nazionale concertativo del 23 luglio 1992 tra il governo Amato, Confindustria e CGIL CISL UIL.

Quell’accordo diede vita a forti contestazioni fuori e dentro i luoghi di lavoro, alla nascita del movimento dei Consigli di Fabbrica al quale aderirono oltre 900 CdF, e fu la causa delle dimissioni di Bruno Trentin, firmatario dell’intesa in quanto Segretario generale della CGIL. Quella stagione fu denominata dei bulloni e dei plexiglas perché nessun sindacalista restò immune dalle contestazioni di piazza. Allora il movimento dei consigli fece da argine cosicché le contestazioni non sfociassero nell’abbandono del sindacato, in particolare della CGIL.

La gran parte del peso delle manovre economiche è ricaduta sul mondo del lavoro dipendente, sui pensionati, sui ceti meno abbienti attraverso la riduzione dello stato sociale, l’aumento delle tariffe e della pressione fiscale sui redditi da lavoro, i tagli al sistema previdenziale e pensionistico.

La sinistra sindacale CGIL osteggiò politicamente e sindacalmente la politica dei redditi e della concertazione, degli accordi del 1992 e del 1993.

Nel frattempo, in quegli anni è diminuita la competitività internazionale, nonostante la riduzione dei salari e la politica dei redditi, a causa del declino complessivo del nostro sistema industriale. Il capitalismo italiano, provinciale e conservatore, è stato incapace di una visione progettuale, di rispondere alla concorrenza internazionale, di avviare una trasformazione finalizzata a superare storici ritardi e gravi storture del sistema produttivo italiano.

Il sindacato confederale, nei primi anni 90, è stato coinvolto, chiamato ad allinearsi alla strategia subalterna all’ideologia e all’orizzonte neoliberista del governo Ciampi e dei partiti della maggioranza. Le esigenze del profitto e del mercato sono divenute interesse comune, nella convinzione di costruire un interesse generale, una solidarietà e una nuova identità di fondo tra le classi. L’unità nazionale e l’interesse del paese sono divenuti un’ideologia nella quale comprimere, annullare la lotta di classe e la centralità del lavoro, la funzione progressista e riformatrice delle lotte sociali e della classe lavoratrice e delle sue rappresentanze sindacali.


Email